IV Il Ruolo del Regista secondo von Trier. Analisi e interpretazione di Il Grande Capo (Direktøren for det hele), un film autobiografico

Francesca Boschetti

1. «Anche se quello che vedete e’ il mio riflesso, credetemi, in questo film non c’e’ bisogno di riflettere»

E’ imbarazzante analizzare un film il cui autore ci invita fin dalla prima battuta a considerare «innocuo” e, “a dimenticare tutto quello che abbiamo visto» 1. L’atteggiamento di von Trier, scostante e decisamente avverso alla critica ricorda inevitabilmente il finale di Otto e mezzo di Federico Fellini, in cui tutti i personaggi partecipano al dolce-amaro girotondo, tranne il critico Daumier, escluso dalla magia del cinema per la sua incapacità di goderne, ossessionato dalla volontà di capire con la sola ragione. Ma ricorda il capolavoro felliniano anche per il fatto che «tutto quello che si può dire contro il film è già dentro al film» 2 .
Tuttavia von Trier (come prima di lui Fellini, Welles e molti altri registi) è un bugiardo, che si diverte a ingannare il pubblico, con dichiarazioni e affermazioni che puntualmente vengono smentite dai  suoi stessi film. E’ un modo per prendersi gioco di quella critica e di quel pubblico che legge, ascolta, a volte anche studia,  ma non guarda.
Così, sebbene il film inizi con la dichiarazione che «in questo film non c’è bisogno di riflettere», all’accusa di «aver fatto un lavoro con la mano sinistra» lo stesso regista risponde: «La scrittura della sceneggiatura ha richiesto molta esperienza, e in questo senso non è un lavoro fatto con la sinistra. Forse è un lavoro fatto con entrambe le mani» 3. E più avanti aggiunge: «Sembra un film molto semplice ed elementare, ma naturalmente non lo è».
E in effetti questa piccola commedia è estremamente complessa, articolata e densa di riflessioni, esattamente al contrario di quello che dice il riflesso di Lars, su una gru in movimento diagonale verso l’alto, dietro la macchina da presa, con cui inizia questo film esplicitamente metacinematografico: «Sì, è l’inizio di un film».
La struttura del film permette di rispondere al suo stesso titolo, mostrando chiaramente chi è il “Direktøren for det hele” cioè  “il capo di tutto questo” (The Boss of It All è il titolo inglese) 4: c’è Kristoffer che si finge il Grande Capo per volere di Ravn, il Grande Capo del Grande Capo e infine, su tutti, c’è Lars von Trier, il Regista, cioè il Capo di tutta questa storia e soprattutto di questo film.
Questa interpretazione gerarchica dei ruoli del film è confermata dall’illustrazione di pag.3 del sito ufficiale del film.

Come nella maggior parte dei film metacinematografici c’è innanzitutto una storia con dei personaggi (la truffa del Grande Capo interpretato da Kristoffer, diretto dal diabolico Ravn). Come nelle migliori commedie, «con osservanza, seguendo la prescrizione», von Trier costruisce questa prima storia intorno ad una serie di equivoci e ad un continuo rovesciamento delle parti con un triplice colpo di scena finale.
C’è poi il regista che appare, che si mostra,  nel duplice ruolo di autore della storia e regista del film, interrompendo la narrazione per ricordarci che si tratta solo di una finzione.
E infine ci sono il lessico cinematografico (l’inquadratura e il montaggio innanzitutto) e la tecnica (l’Automavision 5) con cui è costruito il film, che prepotentemente si impongono allo spettatore, parte integrante del film stesso, cui viene richiesto di completare le immagini, di ricostruire il tutto attraverso le parti e soprattutto di riconoscere l’onnipresenza e l’onnipotenza del Regista, padrone assoluto della realizzazione del film.

2. «Hai detto a ognuno delle cose diverse sul capo?!». Il gioco delle parti e le identità molteplici di ogni personaggio.

La storia, come ci spiega subito il regista, racconta di «un attore pieno di sé e disoccupato (Kristoffer), che però miracolosamente ha trovato un lavoro […] molto particolare…»: deve interpretare la parte del Grande Capo di un’azienda per permetterne la vendita. La cosa importante è che mantenga il segreto sul contratto che ha firmato con il suo capo, Ravn.
Ravn, che in realtà è il vero presidente della società, dice di se stesso di essere debole e di essersi inventato la storia di un capo fittizio per viltà. Ravn si mostra sempre amico e solidale con tutti i colleghi (i sei anziani), sempre pronto a sorridere, abbracciare, sostenere e comprendere e per questo  è molto amato. Lise, una dipendente, lo considera totalmente incapace di manipolare qualcuno e lo chiama teneramente «il nostro orsacchiotto» 6.
Anche Kristoffer è convinto della buona fede di Ravn: «Ravn è uno a posto! (…) E’ molto legato ai suoi collaboratori. Forse non ha il carisma per essere un capo credibile  e magari è un debole, ma non è cattivo! […] Io so che tutto ciò che Ravn fa è per il bene della società e quindi anche dei suoi dipendenti. Più vantaggioso sarà l’affare, meglio sarà per tutti!». Così lo descrive Kristoffer a Kisser, sua ex-moglie e avvocato del compratore islandese. In questo momento Kristoffer pensa esattamente quello che anche il pubblico pensa di Ravn. Infatti sia l’attore che lo spettaore hanno avuto le stesse identiche informazioni su di lui: le sue dichiarazioni, le sue ammissioni, il suo aspetto fisico, la sua gestualità sempre un po’ timida e insicura, il suo sorriso sempre un po’ imbarazzato ma dolce e affettuoso 7
Esattamente secondo le regole della commedia, Kisser è il nuovo personaggio chiave, inserito a tre quarti del film, per innestare il primo capovolgimento della storia. Kisser infatti comincia a svelare la vera identità di Ravn attraverso il dubbio: forse Ravn si è inventato un presidente fittizio «per poter manipolare le persone all’esterno. Scaricando tutte le colpe su un Grande Capo lui riesce ad apparire molto simpatico e nobile». In effetti Kristoffer scopre, passo passo, insieme a noi, il progetto diabolico di Ravn: vendere tutto risultando l’unico beneficiario.
Ma qui c’è il secondo capovolgimento. Dopo aver invitato tutti i dipendenti arrabbiati e delusi ad assistere alla firma del contratto, Kristoffer, grazie ad una tirade sentimentale (su suggerimento della saggia Kisser), riesce ad ottenere la commozione e l’applauso dei presenti e soprattutto convince Ravn a confessare la verità e ad abbandonare il suo piano. L’identità tenera e sentimentale di Ravn ha il sopravvento su quella cinica e meschina.
Anche la “povera Mette”, considerata da tutti (noi compresi) una stupida (o sarebbe meglio dire un’ “idiota” 8) per la sua fragilità e la sua incapacità di comunicare (grida impaurita, piange o scappa per tutto il film senza mai parlare) ribalta il suo ruolo dicendo con fermezza: «Grazie Ravn. Era davvero così difficile dirlo? Io ho sempre saputo che eri tu il capo. Bisognava essere molo stupidi per non capirlo. Ti perdono Ravn!» 9. Tutti i personaggi della commedia, dunque, presentano un’identità perlomeno doppia.
 Poi c’è Kristoffer, il personaggio certamente più complesso. Egli infatti è un attore, dunque uno abituato a falsificare la propria identità per mestiere. L’uomo Kristoffer  ci viene descritto da Kisser, l’ex-moglie che lo conosce bene: come ogni attore vuole essere sempre al centro dell’attenzione, tuttavia «non sei così cattivo come vorresti apparire», anzi egli è sostenuto da valori morali forti ed onesti, è solo che si è lasciato ingannare (come tutti) dal mefistofelico Ravn.
L’attore Kristoffer è la parodia dello star sistem hollywoodiano e di tutte le teorie più o meno d’avanguardia sull’attore. Lars von Trier attraverso questo personaggio smaschera tutti i capricci, le velleità, l’egocentrismo esasperato degli attori, con le loro manie per il “metodo”, le “pause”, l’interpretazione partecipata della parte, l’assoluta convinzione di essere necessari e centrali in una recita come in un film. Ne escono scene e battute divertentissime, pura ironia dissacrante e derisoria, insistita  e ribadita anche nell’ Intervista-mockumentary al cast consultabile nei Contenuti Extra del dvd italiano.
Kristoffer dunque cambia nome e identità e diventa Svend Eckersberg, il Grande Capo. Ma proprio perché Ravn aveva detto a ciascun dipendente cose differenti sul capo, ognuno di loro lo crede in un certo modo.
Dunque Kristoffer diventando Svend diventa: un esperto di informatica, prepotente e provocatore per Lisa; spiritoso, sentimentale e nobile d’animo per Heidi A.; insopportabilmente ingiusto per Gorm; crudele e umiliante per Nalle, mentre Spencer non riesce a esprimere la propria opinione per via della lingua danese 10
Vittima del suo ruolo di Grande Capo, Kristoffer riesce a riottenere l’affetto dei suoi dipendenti inventando a sua volta la figura del Grande Capo del Grande Capo, il Grande C. von Trier in questo modo denuncia la disarmante e ingenua stupidità dell’essere umano…
 Dunque Kristoffer, dopo aver indossato le molteplici maschere e aver interpretato i differenti ruoli, assecondando sempre il pre-giudizio dell’Altro sulla propria Identità, (dimostrandosi in questo un eccellente attore d’improvvisazione), nel finale del film abbandona la parte di Svend per ritornare se stesso: un attore innamorato del grande maestro Gambini.
Il lieto fine del secondo colpo di scena viene così nuovamente ribaltato nel terzo e ultimo colpo di scena: Kristoffer vende la ditta e, davanti al suo pubblico, inizia a recitare il suo monologo. Il controcampo con lo zoom si allontana all’esterno, lasciando Kristoffer, il suo monologo e il suo pubblico dentro la stanza, mentre la voce del regista che si accommiata dal suo pubblico, concludono questa commedia.
Se poi si pensa che il multiforme Grande Capo Svend è interpretato da Kristoffer, che a sua volta è interpretato da Jens Albinus (un eccellente attore danese), ci si rende conto che il gioco delle parti, la moltiplicazione dei ruoli e delle identità per un attore si moltiplicano e si trasformano come il fiore cangiante di un caleidoscopio.

3. «La vita e’ come un film dogma. A volte e’ difficile ascoltare ma questo non significa che cio’ che viene detto non sia importante».

Il paradosso del cinema di Lars von Trier.

In questo film von Trier si mostra quattro volte: all’inizio, alla fine e nei due principali momenti di raccordo, rivolgendosi direttamente al pubblico, secondo le regole, in qualità di autore della commedia. Così facendo ricorda continuamente allo spettatore che quello che sta vedendo è semplicemente un film.
Ma  in questo film von Trier mostra esplicitamente anche la sua idea di cinema. Lo fa innanzitutto criticando con ironia e leggerezza il ruolo dell’attore, come abbiamo visto a proposito di Kristoffer, Gambini e il Teatro.
E poi lo fa attraverso alcune battute (autentiche dichiarazioni sulla sua poetica).
La prima è di Ravn: «Lascia che sia il pubblico a fare il lavoro…» Ed è esattaente su questo principio che si basa il cinema del frammento, dell’immagine negata, dell’inquadratura “sbagliata” di Lars von Trier, autore convinto che il film sia qualcosa che il pubblico contribuisce a completare.  
Vi è poi l’insistita dichiarazione di seguire le regole della commedia, che prevede dunque uno studio approfondito e preventivo dei meccanismi di un genere. Ciò fa supporre che il regista abbia studiato molto anche per la realizzazione dei film precedenti, la cui struttura è sicuramente riconducibile a quella della tragedia antica, ove la catastrofe è necessaria al raggiungimento della catarsi finale.
L’altra battuta straordinariamente importante è di Kisser e da’ il titolo a questo paragrafo.
Probabilmente stanco delle infinite teorie  e commenti che sono stati fatti a proposito dei “film Dogma”, finalmente von Trier attraverso Kisser esplicita qual è il paradosso fondamentale di un film Dogma: esso è cinema, dunque è soprattutto immagine, tuttavia esso si basa sulla parola, esattamente come era per il teatro antico. La Parola (termine ripetuto per ben 5 volte di seguito da Kristoffer come elemento essenziale per riuscire a commuovere Ravn) e il Vedere sono due elementi inscindibili nel cinema di Lars von Trier, in cui spesso la parola contribuisce a completare o addirittura a creare l’immagine 11.  

4. «Ma non viene mai in mente a nessuno che il vero obiettivo della commedia di oggi e’ esattamente svelare la commedia?!»

In questa battuta di Kristoffer sta il senso del cinema post-moderno.
Il vero obiettivo di questo film è svelare il film. Non solo attraverso le apparizioni di von Trier, ma soprattutto attraverso il film stesso, con le sue inquadrature, sempre terribilmente sbagliate: squilibrate,  illuminate in modo incoerente  e soprattutto popolate da attori costantemente decapitati…
Un delirio assoluto, contrario ad ogni regola di scuola di cinema…
La colpa o il merito di questa rivoluzione è della nuova tecnica adottata da von Trier in questo film: l’Automavision. L’idea su cui si basa questa nuova tecnica di ripresa è di «utilizzare un computer per randomizzare l’inquadratura» 12. Si tratta cioè di un posizionamento casuale delle mdp stabilito da un computer precedentemente programmato. In questo modo, come è assolutamente evidente nel film, può capitare che un attore venga completamente tagliato, che la composizione sia totalmente sbilanciata, etc. «Il senso dell’Automavision è proprio l’assenza di manipolazione» (da parte degli attori, che non sapendo cosa sta inquadrando la mdp non possono decidere dove e come posizionarsi per rendere “più artistica” la loro posa o la scena nel suo complesso. Appare evidente dunque la coerenza fra questa nuova tecnica e l’idea che il Regista ha a proposito dell’Attore…). «E’ il computer che prende le decisioni non una persona che cerca di trasporre la sua visione artistica nel film».
Ma l’Automavision è importante anche per il rapporto fra il film e lo spettatore. Von Trier infatti osserva: «Credo che dia vita al film il fatto di non sapere esattamente dove guardare per l’inquadratura. In un film normale ci sono 4 punti di interesse, in un film con inquadrature normali. E’ lì che si spostano automaticamente gli occhi quando si guarda un film. Qui invece devi essere molto più attivo perché i punti di interesse possono essere ovunque nell’inquadratura».
Ancora una volta, quindi, von Trier ribadisce la centralità della partecipazione attiva dello spettatore, parte integrante della costruzione del film stesso.
Stando così le cose sembrerebbe che il Grande Capo del film fosse dunque il computer con il sistema dell’Automavision. Ma oramai sappiamo che von Trier è un sublime mentitore.
Infatti, sebbene sia il computer a decidere le inquadature, è comunque il Regista che «utilizza le riprese del sistema solo dopo averle selezionate».
Infine la più sublime manipolazione nel cinema è il montaggio, costante, insistito, esibito continuamente in questo film: l’apparizione più esplicita ed evidente di von Trier.
Vi sono due momenti in cui la manipolazione eseguita dal regista sul film si fa volutamente evidente: la prima è quando Ravn e Kristoffer si incontrano al Luna Park e parlano mentre sono su una graziosa giostrina coi cavallini. La mdp riprende i due protagonisti mentre girano in tondo e il dialogo è (apparentemente) privo di interruzioni, ma la colonna sonora, cioè la musichetta della giostrina subisce ben 16 stacchi (con continue incongruenze sulla melodia) in una scena di soli 2 minuti. E’ lecito ipotizzare che il regista abbia montato la scena utilizzando più parti girate in momenti differenti.
La cosa diventa ancora più esplicita nella scena al cinema (una delle scene più divertenti ed ironiche del film). Qui Ravn sta mangiando un gelato che ha la forma di una faccina e al centro, al posto del naso, ha una caramella colorata. Ebbene, in soli 3 minuti di dialogo, (apparentemente) privo di interruzioni, la pallina cambia colore per ben 22 volte, alternando al giallo il marrone, il rosso e il verde 13. L’opera di manipolazione del regista è dunque manifestamente dichiarata: la stessa scena probabilmente è stata girata interamente per almeno 4 volte (come indicano i 4 differenti colori), e la scena finale, apparentemente un’unica sequenza dialogata, è formata da almeno 22 tagli: il potere del montaggio, la sublime capacità di falsificazione del cinema… Piccoli ma preziosi dettagli che svelano allo spettatore la poetica di un autore in pochi fotogrammi, semplicemente attraverso l’atto del guardare.

5.«… ma prima vorrei scusarmi sia con quelli che volevano di piu’ che con quelli che volevano di meno. Quelli che hanno avuto cio’ per cui sono venuti, se lo sono meritati»

Così si conclude il film. Così si conclude questa riflessione. L’ironia e la saggezza con cui il regista si accommiata dal suo pubblico creano lo stesso divertito imbarazzo dell’incipit. Noi siamo tra coloro che sono venuti per vedere un film intelligente e complicatissimo, raccontato con la leggerezza e la simpatia di una commedia. E ce lo siamo meritati…

1 Queste e le altre battute sono tratte dalla versione italiana del film Il Gande Capo (Direktøren for det hele), Lars von Trier, 2006, dvd della Lucky Red.

2 Osservazione di Pierre Kast a proposito di Otto e mezzo di F.Fellini, riportata in F. Borin, Federico Fellini. Viaggio sentimentale nell’illusione e nella realtà di un genio, Gremese editore, Roma, 1999, p.77. Anche in questo film, infatti, tutte le critiche che si potrebbero fare al film e al suo autore sono già espresse in alcune battute del regista stesso.

3 Dall’intervista Il Grande Regista: intervista a Lars von Trier presente nei Contenuti Extra del dvd.

4 Il titolo con cui il film è uscito nelle sale italiane (Il Grande Capo) ci sembra un chiaro errore. Il titolo orginale, assieme alla locandina (in cui su sfondo bianco si impone sugli altri due personaggi un uomo di scala maggiore, ritratto di profilo, con la testa tagliata ma con l’inconfondibile smoking: è evidentemente Lars von Trier!), sono tasselli essenziali per ricostruire il senso dell’intero film. D’altra parte, però, è evidente che la Lucky Red non condivide la nostra interpretazione, dal momento che in copertina del dvd si limita a definire questo film  «una pungente, ferocissima satira sul mondo del lavoro», e non una intensa riflessione sul cinema e in particolare sul ruolo del regista.

5 Per informazioni su questa nuova tecnica rinvio al paragrafo 4 di questo saggio nonché all’intervista presente fra i Contenuti Extra del dvd Automavision: le nuove tecniche di Lars von Trier.

6 E’ interessante osservare che in questa battuta, pronunciata per significare l’esatto contrario, è racchiuso il primo inconsapevole svelamento della vera identità di Ravn. Durante le riunioni, infatti, al posto del Grande Capo, i dipendenti hanno sempre usato un orsacchiotto di peluche con gli sci e la maglietta con scritto “direktøren for det hele”.

7 Va riconosciuto che Peter Gantzler (Ravn) in questo film ci offre un’interpretazione veramente eccellente.

8 Louise Mieritz (Mette) era infatti Josephine nel “film scandalo” Idioterne (Idioti), 1998, primo (e unico) film-Dogma di Lars von Trier, presentato a Cannes (dove vinse la Palma d’Oro Festen, film-Dogma di Thomas Vinterberg, l’altro regista danese che insieme a Lars aveva sottoscritto il Manifesto: DOGMA 95. Per ulteriori informazioni rinvio al sito ufficiale). Anche Jens Albinus (Kristoffer) era presente in Idioti nel difficile ruolo di Stoffer, l’ideologo del gruppo. Per ulteriori approfondimenti rinvio al sito ufficiale.

9 La “povera Mette” è certamente la figura più vicina ai personaggi femminili che popolano i film di Lars von Trier: apparentemente  deboli, fragili, vittime indifese della violenza degli altri, sono in realtà persone forti e determinate, artefici consapevoli e coscienti del proprio destino, capaci di grandi gesti volontari, come il perdono (Mette appunto), il sacrificio (Bess, Karen e Selma ovvero le protagoniste della Trilogia del Cuore d’Oro: Breaking the Waves 1996, Idioterne 1998 e Dancer in the Dark 2000 ) e la vendetta (Grace, la protagonista della Trilogia U.S.A. – per ora incompleta – ovvero Dogville 2003 e Manderlay 2005 ). Per ulteriori approfondimenti rinvio al libro-intervista di Stig Björkman, Il cinema come dogma. Conversazioni con Stig Björkman, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2001.  

10 La parte di questo personaggio, interpretato da J.M. Barr è forse la più geniale e  divertente dell’intero film, e riconferma l’importanza della parola per von Trier. L’idea, utilizzata in chiave comico-grottesca viene ripetuta anche nella coppia compratore islandese - interprete. Sulla centralità della parola nel cinema di Lars von Trier ritorneremo oltre.

11 A questo proposito rinvio a F. Boschetti, L’antiestetica del paesaggio in Lars von Trier. Riflessione sul cinema e rinascita della tragedia in AAM – TAC Arts and Artifacts in Movie. Technology, Aesthetics, Communication, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 2006, n. 3. http://www2.cini.it/italiano/attivita/pubblicazioni/pubblicazione.php?idpubblicazioni=1006

12 Tutte le affermazioni riportate a proposito dell’Automavision sono tratte dall’intervista Automavision: le nuove tecniche di Lars von Trier presente fra i Contenuti Extra del dvd.

13 Precisamente la scena inizia con la caramella Gialla, che poi diventa Marrone, poi Rossa, M, R, G, M, G, R, poi inaspettatamente diventa Verde, poi G, R, V, R, V, R, V, R,V, R, G, per terminare con la caramella Rossa.