II. Dalla Teoria alla Pratica: un Esempio.
Analisi e interpretazione di La donna che visse due volte (Vertigo) di Alfred Hitchcock

Francesca Boschetti

1. La costruzione di un’  Identità

L’icona di questo link mostra i due protagonisti del film di A. Hitchcock intitolato Vertigo e tradotto in italiano in un inquietante La donna che visse due volte (1958): J. Stewart nella parte dell’acrofobico poliziotto in pensione John “Scottie” Ferguson e Kim Novak nella molteplice parte di Judy Barton che si finge Madeleine Elster che si finge Carlotta Valdes. La scelta non è casuale.
Innanzitutto, come afferma lo stesso regista: «Questa storia si divide in due parti. La prima arriva fino alla morte di Madeleine, e la seconda comincia quando il protagonista incontra la donna bruna, Judy, che assomiglia a Madeleine» 1.
Dunque il film nasce all’insegna del doppio, sia a livello narrativo che formale.

La trama. La storia racconta di come Scottie, un poliziotto in pensione a causa della sua fobia per il vuoto, venga assunto dal suo amico Elster per  sorvegliare la moglie Madeleine a causa del suo comportamento strano che la porta a imitare nelle vesti e nei discorsi un’antica antenata morta suicida. Scottie, dopo aver salvato una prima volta la donna da un tentato annegamento ed essersi innamorato di lei, non riesce a salvarla quando, inghiottita dai fantasmi del passato, decide di suicidarsi gettandosi da una torre. Scottie, infatti, frenato dalle vertigini, non è riuscito a salire in cima e, assalito dai sensi di colpa, fugge. Fine prima parte. Sebbene assolto dal tribunale, Scottie cade in una profonda depressione. Dopo qualche tempo, ossessionato dalla donna perduta, Scottie crede di riconoscere in Judy, una scaltra ragazza dai capelli scuri, la diafana e nobile Madeleine e decide di avvicinarla. Judy in realtà è proprio Madeleine. Complice del piano uxoricida di Elster, infatti,  Judy si era finta Madeleine ma, innamoratasi davvero di Scottie, decide di tentare l’avventura. Scottie in realtà ama in lei solo la somiglianza con la donna morta e comincia a trasformarla in lei, facendola vestire, truccare, pettinare come l’altra. Judy, pur consapevole del gioco perverso accetta di lasciarsi trasformare per la seconda volta in Madeleine, per amore. Ma un gioiello antico, indossato per sbaglio, fa scoprire la verità a Scottie che decide di riportare la donna sul luogo del delitto. Salgono insieme in cima alla torre ma qui l’arrivo inaspettato di una suora terrorizza la fragile e disperata Judy che si getta nel vuoto. Fine.

Il racconto cinematografico si sviluppa intorno alla figura di Madeleine, una donna che non esiste, ma che viene costruita, secondo un processo di falsificazione volontaria operato in due tempi, da due diversi attori, per due diversi motivi 2.
La prima Madeleine viene progettata e costruita dal signor Elster e dalla complice Judy, allo scopo di incastrare Scottie e poter uccidere tranquillamente la moglie (la vera Madeleine). La seconda Madeleine viene invece ricostruita da Scottie per imitazione e ricordo di una donna morta, perversamente convinto di poter ritrovare in questo doppio la donna amata e perduta.

La prima Madeleine. La costruzione dell’identità di Madeleine, la prima volta,  avviene per via indiziaria, seguendo passo passo il pedinamento di Scottie: Elster avverte (e condiziona) l’amico che la moglie ha uno strano comportamento e teme per la sua vita. Al ristorante vediamo per la prima volta con Scottie la donna: splendida e assente, mantata di verde (“il colore del mistero”, secondo Hitchcock).
Il pedinamento del giorno successivo permette di cominciare a riordinare i primi tasselli: prima dal fioraio, poi alla missione, poi al cimitero sulla tomba di Carlotta Valdes, morta un secolo prima a 26 anni (come il dettaglio sulla lapide ci informa), infine la visita al museo per sostare davanti al quadro di una donna che tiene in mano lo stesso bouquet e si pettina nello stesso modo di Madeleine (come lo zoom a stringere sui due dettagli sottolinea in modo evidente) 3. La donna del ritratto è Carlotta Valdes, (come dichiara la guardia del museo), dunque Madeleine si sta trasformando inconsapevolmente nella donna del quadro, a cominciare dall’aspetto esteriore. Un primo elemento identitario forte è dunque l’aspetto fisico. Segue la visita all’hotel, dove la donna scompare misteriosamente, lasciando Scottie (e lo spettatore) confuso e turbato.  Il dettaglio del bouquet nella macchina parcheggiata davanti casa da dove era partita conferma che il viaggio è stato effettivamente svolto e non è stata un’allucinazione.
La biografia della “splendida”, “triste”, “pazza 4 Carlotta, è affidata al racconto e al ricordo del libraio  Pop Liebel, che ne rammenta il suicidio.
L’identità di Carlotta, ovvero il suo corpo e la sua anima,  è oramai chiara e definita, attraverso la memoria del ritratto e dei racconti. L’identità di Madeleine, che si crede Carlotta, per Scottie (e per lo spettatore) è dunque anch’essa chiara, per sovrapposizione. Hitchcock lo dice chiaramente sia attraverso il dialogo fra Scottie e la fedele amica Midge, sia con le immagini.
Di ritorno dal libraio, in macchina, Midge chiede: «E’ bella?» E Scottie: «Chi? Carlotta?».«No, non Carlotta. La moglie del tuo amico…». Per Scottie dunque l’identificazione Carlotta = Madeleine è già avvenuta. Ma se ciò non bastasse, o meglio, proprio perchè questo è un film, Hitchcock   esprime questo concetto anche attraverso le immagini. Appena Midge scende dall’auto, infatti,  Scottie apre il catalogo del museo e sul ritratto di Carlotta in primo piano si sovrimprime il profilo di Madeleine.
Ora che l’identificazione è avvenuta il piano può procedere tranquillamente, insistendo sull’orizzonte di attese di Scottie nei confronti di Madeleine (la volontà di uccidersi) e di Elster nei confronti di Scottie (le vertigini gli impediranno di salire): un tipico esempio di come spesso le cose non siano in sé, ma dipendano dal modo in cui le si interpreta, condizionandole e lasciandosi condizionare dalle proprie idee e preconcetti.
Ciò è detto esplicitamente nella lettera che Judy scrive a Scottie per spiegare tutto l’inganno di cui lui è stato vittima: «La storia di Carlotta era in parte vera e in parte inventata per indurti a testimoniare che Madeleine voleva uccidersi. (Elster, N.d.A.) Sapeva della tua malattia, sapeva che non saresti mai arrivato in cima alla torre».
Dopo un primo tentato suicidio e la dichiarazione d’amore fra i due, affinché il piano riesca, Madeleine deve solo ricordare un passato che non le è mai appartenuto che li conduce alla missione, dove, certi dell’acrofobia di Scottie, i due complici possono compiere il delitto in cima alla torre. E’ passata poco più di un’ora e la prima parte del film è finita.

La seconda Madeleine. Se la prima Madeleine era stata costruita su una storia inventata, pianificata ad hoc per riuscire nell’uxoricidio, la seconda Madeleine viene costruita sul ricordo di una donna che non è mai esistita veramente. Il processo di falsificazione operato da Scottie su Judy è di secondo livello: Judy viene trasformata in Madeleine ovvero in Judy che si finge Madeleine. Si tratta di un gioco veramente perverso e diabolico in cui tutti, sia Scottie che Judy, appaiono come vittime. Judy ama e vorrebbe essere amata «per quella che sono, per me stessa, dimenticando l’altra e dimenticando il passato». Scottie invece ama una donna che non esiste. Scottie vede Madeleine in chiunque: prima nella signora con la macchina, poi al ristorante, poi al museo… Madeleine è una sua proiezione… La seconda Madeleine è ancora una volta Judy che si lascia trasformare in un’altra per amore, negando se stessa. Negando il suo vero nome (i documenti che vengono mostrati per accertare la sua vera identità nel primo incontro con Scottie), negando il suo passato e le sue origini (le fotografie coi genitori), negando il suo aspetto fisico (cambia abiti, colore dei capelli, trucco), Judy diventa Madeleine. L’identità, dunque, non è mai una soltanto, non bastano i documenti che certificano un nome e un volto, non bastano le foto che testimoniano il passato, l’identità è sempre molteplice e cangiante secondo le persone con cui si interagisce, dialettica e riflessa nello sguardo dell’Altro.

2. Il raccordo

Fra la prima e la seconda parte del film si inserisce il lungo monologo del giudice (quasi 4 minuti). Esso serve a dare voce ai pensieri dello spettatore: se prima si era identificato in Scottie, con cui condivideva ogni scoperta ed emozione, ora se ne distacca per criticare la sua fuga e la sua inettitudine.
L’identificazione fra Scottie e il pubblico non è casuale, ma è fortemente voluta dal regista. La maggior parte delle inquadrature del film, infatti,  sono delle soggettive di Scottie (il suo occhio vede ciò che vede lo spettatore) 5 e inoltre, come osserva il regista F. Truffaut durante l’intervista al maestro: «C’è una certa lentezza, un ritmo contemplativo che non si trova negli altri suoi film…» e Hitchcock conferma: «Esatto, ma questo ritmo è perfettamente naturale, perché raccontiamo la storia dal punto di vista di un uomo emotivo (cioè Scottie, N. d. A.)» 6.

3. Dalla Sorpresa alla Suspense

Dunque non solo nel racconto ma anche nella forma il film è diviso in due parti.
Nella prima, oltre alle già citate soggettive, si aggiunge il modo spesso inquietante  in cui viene mostrata Madeleine. Come spiega lo stesso regista: «Le inquadrature su di lei la rendevano piuttosto misteriosa, perché le facevamo con dei filtri di nebbia; ottenevamo così un effetto di verde sul riverbero del sole» 7. Mistero ancor più fitto durante il dialogo denso di morte fatto nel bosco di sequoie dove Madeleine, avvolta nell’impermeabile bianco, pare sparire fra le nebbie di quegli alberi eterni e gli umidi mucchi di foglie rosso scuro.
Tutta la prima parte, infatti, deve condurre alla sorpresa. Lo sguardo dello spettatore, identificandosi con lo sguardo di Scottie, sarà continuamente stupito e coinvolto nel desiderio di ricostruire il tutto attraverso le parti disseminate e svelate durante il film.
Nella seconda parte invece, il meccanismo si rovescia. Come spiega chiaramente il regista: «all’inizio della seconda parte quando Stewart ha incontrato la donna bruna, ho deciso di svelare subito la verità, ma soltanto allo spettatore: Judy non è una donna che assomiglia a Medeleine, è proprio Madeleine. (…) Eccoci ancora una volta di fronte alla nostra consueta alternativa: suspence o sorpresa?  Ora abbiamo lo stesso svolgimento che c’era nel libro; Stewart per un po’ di tempo crede che Judy sia proprio Madeleine, poi si rassegnerà all’idea opposta, a condizione che Judy accetti di assomigliare sotto ogni aspetto a Medeleine. Ma il pubblico, invece, ha ricevuto l’informazione. Dunque abbiamo creato un suspence basato su questo interrogativo: come reagirà J. Stewart quando scoprirà che lei gli ha mentito e che è effettivamente Madeleine? Ecco il nostro pensiero principale» 8.
Dunque la condizione per la sorpresa è che lo spettatore e il personaggio apprendano insieme. La condizione per la suspense è invece che il personaggio sappia meno dello spettatore.
Il passaggio è fondamentale e la situazione deve essere chiara: Hitchcock allora, ancora una volta  affida la spiegazione sia alle immagini (il flash-back di Judy che ricorda l’uxoricidio in cima alla torre) sia alle parole (la lettera infine strappata scritta da Judy a Scottie).

Appare evidente, quindi, in un film così concepito, la centralità dello spettatore: è l’effetto che si vuole ottenere nello spettatore che condiziona la forma delle due parti. E il passaggio dalla sorpresa alla suspense si può ottenere solo se lo spettatore partecipa completamente al film, con uno sguardo che sarà sempre individuale anche nella molteplicità (degli  sguardi degli Altri).
Dice infatti D. Bordwell a proposito della costruzione dei personaggi - ma il concetto si potrebbe estendere alla ricezione di tutto un film - che «L’immagine di un personaggio nel cinema è costruita presumibilmente non solo dall’autore e dal testo, ma anche dallo spettatore, il quale lavora in base ad un patrimonio culturale e a codici sociali che possiede» 9.

Vertigo ci è sembrato un film particolarmente adatto per dimostrare la semplice complessità del cinema: il film racconta una storia che dimostra come l’Identità non esista in sé, ma sia molteplice secondo lo sguardo degli Altri. Per raccontare questo il film usa il suo linguaggio, fatto di sguardi che, selezionando e manipolando la realtà da mostrare, dimostrano come anche la Realtà in sé non esiste, ma dipende sempre dall’occhio di chi la guarda. E in quel momento è dello spettatore l’ultimo sguardo che sta dando nuovo significato a ciò che vede, secondo i propri orizzonti di attese, in un dialogo continuo e in un continuo gioco di specchi fra chi guarda e chi è guardato.

4. Bibliografia e Sitografia  citata

Il testo di riferimento di questo saggio è:
F. Truffaut, 1966, Il cinema secondo Hitchcock, Net, Milano, 2002.

Ambrosini M., Cardone L., Cuccu L., Introduzione al linguaggio del film, Carocci, Roma, 2003.
Bernardi S., Introduzione alla retorica del cinema, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1994.
Boschetti F., Identità e cinema: come l’arte racconta la psicologia, in C. Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005, pp. 235-255.
Fasola C., L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005.
M.T. Journot, Piccolo dizionario del cinema, Lindau, Torino, 2004.
www.hitchcockmania.it/filmografia/vertigo/fotofilm.htm

Per biografia e filmografia di Alfred Hitchcock si consigliano:

www.hitchcockmania.it/biografia/bio_index.htm

www.hitchcockmania.it/filmografia/filmografia.htm

Febbraio 2007


1 In F. Truffaut, 1966, Il cinema secondo Hitchcock, Net, Milano, 2002, p. 202.

2 Cfr. anche F. Boschetti, Identità e cinema: come l’arte racconta la psicologia, in C. Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005, pp. 235-255.

3 Per un immediato riscontro visivo si rinvia al sito: www.hitchcockmania.it/filmografia/vertigo/fotofilm.htm, in particolare alle foto 23, 24, 25, 26, 27.

4 Aggettivi utilizzati durante la climax emotiva del racconto del libraio. Tutti i dialoghi del film che saranno citati in questo saggio sono tratti dalla versione in italiano del film La donna che visse due volte (Vertigo), Alfred Hitchcock, 1958, uscita in vhs per la serie “Alfred Hitchcock – I grandi capolavori del brivido” della De Agostini.

5 Per un rapido approfondimento sui termini principali del cinema si consigliano fra gli altri: M. Ambrosini, L. Cardone, L. Cuccu, Introduzione al linguaggio del film, Carocci, Roma, 2003 e il praticissimo M.T. Journot, Piccolo dizionario del cinema, Lindau, Toino, 2004.

6 In F. Truffaut, Il cinema… cit., p. 204.

7 In  F. Truffaut, Il cinema… cit., p. 203.

8 In  F. Truffaut, Il cinema… cit., p. 203. Qui Hitchcock allude al romanzo da cui è stato tratto il film:  D’entre les morts di Pierre Boileau e Thomas Narcejac.

9 Citazione riportata in S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1994, p. 178.