Le Teorie Costruzionistiche

M. Strano

(tratto da Strano M., De Risio S., di Giannantonio M., “Manuale di Criminologia Clinica, Ed. Rossini, Città di Castello, 2000)

Le critiche al determinismo

Gli approcci criminologici basati sulla ricerca delle cause del crimine insite nell’autore (teorie biologiche, psicologiche, psichiatriche) o nell’ambiente sociale dove l’autore è “immerso”(teorie sociologiche) non hanno retto, nel corso della storia, alle verifiche empiriche. La possibilità di localizzare degli elementi visibili (clinici, psicologici, sociali) nel soggetto, in grado di fornire una predizione del suo comportamento ha costituto (e ancora costituisce) una strada sovente percorsa dagli scienziati sociali alla ricerca di strumenti rassicuranti e generalizzabili. Nel gennaio del 1979, presso La Maison des Sciences de l’Homme, si tenne un importante convegno a cui parteciparono E. Goffman, T. Luckmann, J.S. Bruner, W. Hacker e R. Harré, nel corso del quale emerse la convinzione della necessità di adottare l’azione come unità di analisi nelle scienze sociali e non l’ambiente dove l’azione avviene o il soggetto (o gruppo) che la effettua, al fine di superare i precedenti determinismi causa-effetto e per ridare giusta importanza al potere determinativo della Mente nell’ambito del comportamento umano. Tale categoria (l’azione) implica il contributo dell’interazionismo simbolico, della Teoria generale dei sistemi, del Cognitivismo e di altre discipline psicologiche. (Vedasi a tal proposito il testo di Mario Von Cranach e Rom HarréThe analysis of action”, Cambridge University Press, 1982). Un uomo quindi non più completamente in balia dei condizionamenti sociali (sociologi deterministi) o di quelli inconsci (psicoanalisi) ma in grado di organizzare una buona parte della propria realtà attraverso continue interazioni e mediazioni con il reale. La previsione comportamentale, in quest’ottica, si indirizza verso la natura e l’intensità di tali processi interattivi più che su caratteristiche stabili, antecedenti all’ipotetico fatto, insite nell’ambiente sociale o nella personalità dell’attore. In realtà tutti i comportamenti umani, compreso quello criminale, sono posti su piani di maggiore complessità e contemplano, necessariamente (parallelamente agli stimoli orientanti (biologici, personologici, sociali) un’attività di costruzione circolare (agente e retroagente) da parte dell’attore sociale e del controllo sociale, non leggibile nei soli fattori biologici e sociali preesistenti ma ascrivibile all’attività di interpretazione, significazione e riorganizzazione compiuta dalla mente umana. La devianza, in altri termini, non è un’entità di fatto, iscritta nell’ordine naturale del mondo o rigidamente determinata da strutture interne del soggetto ma è il frutto di un processo di costruzione sociale mediato da un’attività peculiare del genere umano: il pensiero. Al delinearsi di tale approccio ha contribuito tra gli altri Karl Popper già agli inizi degli anni 70’ proponendo la mente umana non come una sorta di tabula rasa in balia delle stimolazioni interne ed esterne ma come una realtà dinamica in grado di produrre ipotesi che precedono, organizzano e quindi influenzano la percezione di ciò che avviene. La percezione, poi, induce modifiche sul processo di anticipazione del futuro mediante una retroazione esperenziale. L’osservazione viene così reintegrata nella teoria, che si modifica all’interno di una processualità interattiva. (De Leo G, Patrizi P., 1999)

Il costruzionismo complesso

L’approccio proposto, che si riferisce alla cosiddetta “Scuola di Roma” (De Leo G. et altri) attinge dal contributo di vari filoni psicologici:

L’Interazionismo simbolico (Mead 1934) che formula il concetto di “altro generalizzato” e che ritiene le aspettative di comportamento dell’interlocutore in grado di orientare l’interazione (agiamo in base alle presunte reazioni dell’interlocutore). Il processo sociale influenza quindi il comportamento degli individui che a loro volta sviluppano il processo sociale. L’individuo tende ad assumere il punto di vista del gruppo sociale e i significati condivisi (schemi simbolici) relativi all’azione che sta per compiere, orientando il proprio comportamento. L’individuo è in grado così di produrre delle anticipazioni mentali degli effetti della propria azione. Per gli interazionisti il comportamento è definito ed orientato da una complessa rete di interazioni “..che produce significati intorno all’azione e al suo autore che a quell’interazione partecipa con un ruolo tutt’altro che marginale..” (De Leo, Patrizi 1999). Le tre dimensioni importanti per la criminologia interazionistica sono: l’azione deviante che deve essere visibile e deve produrre effetti pubblici; L’esistenza di una norma che viene violata in caso di devianza e rappresenta quindi  la precondizione indispensabile per la definizione della trasgressione; una reazione sociale intesa sia come risposta socio-istituzionale alla devianza e sia come insieme di stereotipi, atteggiamenti e pregiudizi che precedono l’azione e ne orientano il decorso;

La Teoria sistemica (Onnis 1986) che inserisce l’azione (anche la devianza) nel contesto ambientale e situazionale in cui si manifesta e di cui necessariamente è espressione. Il comportamento negativo non può quindi essere interpretato senza analizzare le dinamiche del sistema di interazioni a cui appartiene;

La Teoria dell’azione (Von Cranach, Harre’ 1982) che individua nella dinamica delle azioni (dirette ad uno scopo) tre componenti interagenti tra loro: Il comportamento osservabile che costituisce la dimensione manifesta dell’azione, (il suo inizio, la fine, eventuali nodi significativi, le tappe, le direzioni intraprese); le cognizioni coscienti dell’autore, ovvero come il soggetto prepara, accompagna, percepisce e segue l’azione; i significati sociali che sono costituite dalle rappresentazioni sociali diffuse (rispetto all’azione) le regole informali, le norme, valori e scopi dell’autore eccetera. Per la Teoria dell’azione i significati sociali controllano le cognizioni coscienti che organizzano e orientano il comportamento osservabile. Il comportamento osservabile retroagisce sulle cognizioni coscienti. Il soggetto, in altri termini elabora ed interpreta socialmente le regole sociali e orienta il proprio comportamento anticipandone gli effetti (mentalmente) con una sorta di monitoraggio che definisce lo svolgimento dell’azione. Nel modello in esame le dinamiche intrapsichiche dell’individuo e le sue rappresentazioni cognitive entrano quindi in interazione con i significati e le regole sociali e tale dinamica complessa determina il suo agire. Correlata ad ogni azione è presente una fase di anticipazione mentale dei suoi effetti da parte dell’individuo (aspetto non sviluppato da Von Cranach ed elaborato dalla Scuola di Roma) Gli effetti dell’azione possono infatti avere una funzione strumentale (non sufficiente a spiegare l’azione) es. uccido per eliminare un soggetto per me scomodo, e una funzione espressiva che assume viceversa valenza comunicativa autodiretta e eterodiretta. La funzione espressiva autodiretta comporta una serie di messaggi che l’autore invia a se stesso e attraverso cui rielabora la propria identità (es. uccido per mostrare a me stesso che sono in grado di farlo). La funzione espressiva eterodiretta comporta una serie di messaggi che l’autore invia all’altro generalizzato (es. uccido per mostrare agli altri quanto sono deciso). Il caso del parricidio, tipico omicidio in cui il figlio uccide il padre che costituisce un elemento di oppressione, rappresenta ad esempio un crimine difficilmente spiegabile osservando la sola funzione strumentale. Sovente, in tale forma di omicidio, l’azione criminale non rappresenta solo l’eliminazione di un ostacolo ma anche un’affermazione di forza. La funzione espressiva infine, agisce su quella strumentale orientandola. (De Leo G., Patrizi P,  1999)

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