Le rappresentazioni di sé nella persona transessuale

Alessandro Salvini (intervento al convegno Transessualità e nuovi diritti, Padova)

Introduzione

Inizierò ricorrendo ad una frase di Goffman, sociologo che riassume in poche parole il tema dell'intervento: "La posta in gioco è il successo nella rappresentazione di sé stessi..."
Considero la rappresentazione di sé come costrutto emotivo, cognitivo e relazionale su cui ruota il sentimento di valore e la risposta alla domanda "Chi sono io?" che è particolarmente viva nel transessuale come in tutti coloro che per diversi motivi si trovano con un'identità precaria.
La costruzione, il mantenimento, ma soprattutto la dimostrazione esterna di una identità diversa da quella a cui al transessuale non è stato di nascere, crea non pochi disagi a queste persone.
Disagi che portano l'individuo a chiedere consulenza psicologica o terapia che richiedono una comprensione piuttosto che una spiegazione. Si tratta di indagare le ragioni di un disagio invece che le cause.
Il transessuale conosciuto come persona nell'ambito della relazione clinica, ci ricorda costantemente che una scienza basata sui "tipi" non può nel nostro caso, avere risposte universali poiché non può eliminare il soggetto.
Quindi a differenza dell'approdo nosografico, non si tratta di desumere le caratteristiche di un soggetto attraverso la sua assegnazione ad una sindrome (ovvero ad una certa classe di sintomi) ma di ricostruire, utilizzando il soggetto come esperto su di sé, la storia attraverso cui declina se stesso e il proprio modo di interpretare la realtà.
L'approccio clinico in psicologia, pur poggiandosi anche su conoscenze di tipo sperimentale ed empirico, si avvale quindi anche di un metodo storico-clinico ed ermeneutico che insieme all'ottica fenomenologica consentono di dialogare con i costrutti del Soggetto, di ricostruire le narrazioni, l’esperienza ed eventualmente di modificarla.
Del resto la psicologia clinica per non divenire altro, deve rimanere legata alla propria tradizione ossia l'interpretazione e la comprensione dei processi mentali al fine di poterli influenzare e modificare con strumenti psicologici ove ve ne sia bisogno.
Ritorniamo ora alla rappresentazione di sé nella persona transessuale. Si è uomini e donne non solo per un sentimento interiore ma anche per una continua conferma che riceviamo dall'esterno.
Se condividiamo tale affermazione possiamo ben comprendere un'eventuale operazione complessa sia sul piano cognitivo che emotivo che il transessuale si ritrova a dover affrontare, a questo proposito sono utili le parole scritte da una persona transessuale di nome Meri: ".. .coloro che mi aspettano aldilà della porta per giudicarmi, e che possono farmi sentire una donna pienamente riuscita o con un difetto originario di fabbrica..."
I transessuali sono dipendenti e problematizzati dal fatto che gli altri gli riconoscano un'identità sessuale da loro scelta, voluta.

Uno sguardo dal passato

Riprendendo nuovamente le parole di Meri: ".. .non ci si può dimenticare degli abiti che abbiamo indossato per forza o per convenienza soprattutto quando c'è utile ricordare cosa si è imparato attraverso essi. Il mondo ci ha conosciuti con quegli abiti anche se non ci fa piacere ricordarcelo. Talvolta, per un attimo o un po' più a lungo ci riconosciamo, spaventati, come ci ha definito un tempo il mondo. E' questo il nostro dramma. Del nostro guardaroba segreto, di donne, sappiamo poco finché non lo capiamo attraverso gli altri. Conosciamo il copione, ma non diventa nostro finché non lo recitiamo sulla scena. Il guaio è che per quanti sforzi facciamo non riusciamo mai a dimenticare completamente l'altro che siamo stati. Certe volte mi sembra di essere Alice, quando viene ammonita di essere solo un'immagine nel sogno del Re Rosso e che può scomparire da un momento all'altro come un'impostura. E' per questo che chiedo aiuto".
I transessuali non solo dunque sono dipendenti e problematizzati dal fatto che gli altri gli riconoscano un'identità sessuale, ma anche da un giudizio interiorizzato che utilizzano privatamente nei confronti di se stessi.
Quindi siamo di fronte ad una doppia dipendenza: una esterna ed una interna. Considerando che durante l'iter biografico il transessuale entra in contatto con punti di vista diversi, data la metamorfosi e la transizione di una certa configurazione dell'identità pubblica, il suo “mondo interno” può risultare problematico e conflittuale.
Il punto di vista dell'altro, l'occhio, lo sguardo, non è solo reale o contingente, ma è anche quello
che attraverso un processo dissociativo, il transessuale ospita in una parte di sé come esperienza,
fantasia e immagine ideale. Il suo sentirsi uomo o donna deve talvolta fare i conti con il fatto che ospita, volente o nolente, un punto di vista, uno sguardo personale che appartiene al ruolo sessuale a cui è stato inizialmente assegnato e che ha dovuto impersonare in alcuni momenti della sua vita.
Ciò lo lega a quella parte di sé che vorrebbe eliminare, ma che nessun trattamento ormonale può modificare e nessun bisturi togliere. "Il suo arto fantasma" rimane più presente di quanto si pensi e molta energia viene spesa per rimuoverlo dalla coscienza, questi persone si sentono come il riflesso di una scena, più che la sostanza stessa della scena.
La persona transessuale fino ad un certo punto della sua vita ha vissuto con una doppia identità. Pur misconoscendo e rifiutando il ruolo sessuale a cui è stato socialmente assegnato, ha finito comunque per impararne la lingua e il punto di vista, con il risultato che nel suo essere pienamente Donna o Uomo, finalmente ricongiunto con il suo sentimento più intimo, interverrà comunque l'occhio della sua identità parziale e forzata attraverso cui è stato costretto a manifestarsi pubblicamente.

Autobiografie

Le autobiografie dei transessuali, proprio nello sforzo di negare ogni forma di ambivalenza e di doppia dipendenza, costruite dalla necessità di dimostrare a tutti i costi di essere veramente un uomo o una donna, lasciano intravedere, anche nella scelta delle prove un ricorso ad un occhio femminile o maschile a cui pensano di aver rinunciato.
Il transessuale, è impegnato come tutti, ma con un'attenzione maggiore, nella gestione dell'immagine di sé e delle sue rappresentazioni.
In ogni situazione, in ogni momento della giornata, costruisce e introduce un osservatore interno capace di controllare le espressioni di sé più appropiate al ruolo che rivendica o cerca di nascondere.
Espressioni di sé magari periferiche alla situazione, ma controllate, intenzionalmente anche se in forma tacita, anche in risposta alle azioni o alle parole dell'interlecutore. Un continuo controllo ha come effetto il restringersi della soggettività, ovvero la rinuncia alla molteplicità cangiante delle “voci interiori”, condensandola invece in forme stereotipiche, da cui il problema e il bisogno di esperienze autentiche che il transessuale tende a vivere come esigenza angosciosa quanto utopica. Bisogno e aspirazioni inconciliabili con la costante sorveglianza sulla messa a punto di un'immagine credibile di sé, nel costante timore che gli altri possano ingabbiarlo in quello che non è.
Tutto questo si riflette sulla memoria autobiografica, ossia su ciò che conferisce al proprio senso d'identità una coerenza retrospettiva e una continuità futura.
Occupato a dimostrare agli altri, a coloro che lo circondano: "Sono Y e non X come voi potreste credere", gli episodi di vita presenti, passati e remoti vengono selezionati dal transessuale e ricostruiti per dare sostegno, coerenza alla rappresentazione di sé che l'autobiografia deve produrre.
Con il risultato che molto spesso le autobiografie dei transessuali presentano sostanziali analogie dovute anche al genere narrativo utilizzato, per esempio di tipo epico. Non solo, diversi psicoterapeuti hanno notato lo scarto che esiste nelle autobiografie dei loro clienti tra "verità narrativa" e "verità storica".
Sia detto di passaggio: non è certo compito del clinico separare la verità narrativa da quella storica... Anzi: l'obiettivo del clinico è di accogliere i racconti, i dati autobiografici come se fossero oggettivamente veri: va sostenuta una certa versione di sé del paziente fintanto che è funzionale al mantenimento del sistema di ragioni, di bisogni e di impegni necessari al suo equilibrio.
Il transessuale non è sempre in grado di affrontare il crollo tematico e motivazionale che gli deriva dal dover rinunciare ad una certa idea, immagine o rappresentazione di se stesso.

Conclusioni

Utilizzando le parole di Jerome Bruner si può concludere affermando che se gli uomini riescono a ricordare solo ciò che è stato strutturato in forma narrativa, ogni autobiografia psicologica influisce sull'organizzazione del sentimento d'identità o accentuandone il disagio, o ristabilendo, tramite l'apporto del terapeuta, una nuova legittimazione e accettazione di sé.