Il virtuale ha assorbito il reale. Intervista a Jean Baudrillard

 

Mediamente, 11 Febbraio 1999

L'immersione totale nello schermo e nel computer del soggetto può implicare che la realtà possa scomparire in un generico non-luogo?

Risposta
Sì, certo, la realtà è già scomparsa in certo modo, ma perché essa in fin dei conti, non è mai altro che l'effetto di uno stimolo, di un modello. C'è un modello di realtà, un principio di realtà, che è stato costruito e che si può scomporre molto rapidamente. E' in effetti una sorta di costruzione quella che si è sgretolata sotto la spinta delle tecnologie moderne, delle nuove tecnologie in particolare. Ciò che viene chiamata la realtà virtuale ha senza dubbio un carattere generale e in qualche modo ha assorbito, si è sostituita alla realtà nella misura in cui nella virtualità tutto è il risultato di un intervento, è oggetto di varie operazioni. Insomma tutto si può realizzare di fatto, anche cose che in precedenza si opponevano l'una all'altra: da una parte c'era il mondo reale, e dall'altra l'irrealtà, l'immaginario, il sogno, eccetera. Nella dimensione virtuale tutto questo viene assorbito in egual misura, tutto quanto viene realizzato, iper-realizzato. A questo punto la realtà in quanto tale viene a perdere ogni fondamento, davvero si può dire che non vi siano più riferimenti al mondo reale. E infine tutto vi si trova in qualche modo programmato o promosso dentro una superformula, che è quella appunto del virtuale, delle tecnologie digitali e di sintesi. Accade effettivamente che a un certo punto il reale ci sta pur sempre di fronte, e noi ci confrontiamo con esso, mentre con il virtuale non ci si confronta. Nel virtuale ci si immerge, ci si tuffa dentro lo schermo. Lo schermo è un luogo di immersione, ed ovviamente di interattività, poiché al suo interno si può fare quel che si vuole; ma in esso ci si immerge, non si ha più la distanza dello sguardo, della contraddizione che è propria della realtà. In fondo tutto ciò che esisteva nel reale si situava all'interno di un universo differenziato, mentre quello virtuale è un universo integrato. Di certo qui le care vecchie contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, e via dicendo, vengono in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà che ingloba tutto, ivi compreso un qualcosa che sembrava essenziale come il rapporto fra soggetto e oggetto. Voglio dire che nella dimensione virtuale non c'è più né soggetto né oggetto, ma entrambi, in via di principio, sono elementi interattivi. Parlo in termini un po' approssimativi perché non appartengo completamente a questo mondo, non ne faccio parte, ma in ogni caso posso parlarne nonostante tutto, e mi sembra di vedere determinate cose che succedono al suo interno. In questo universo il soggetto non ha più una sua posizione propria, una condizione vera, in quanto soggetto, di un sapere o di un potere o di una storia. C'è invece un'interazione, che vuol dire in fin dei conti uno svolgimento o un riavvolgimento di tutte le azioni possibili. Nella realtà virtuale tutto è effettivamente possibile, ma la posizione del soggetto è pericolosamente minacciata, se non eliminata.

Lei sostiene che nel futuro tutto potrà accadere in un mondo che sarà frutto di operazioni vituali e non avrà più bisogno di uno spazio reale e simbolico. In che tipo di mondo avranno luogo le cose?

Risposta
Non mi è possibile descriverlo. E' una dimensione di cui in definitiva si ha un presentimento attraverso vari indizi. Non saprei. In termini di spazio non si ha molto di più delle fantasie della fantascienza, che però offrono immagini di uno spazio fantastico. Tutta la fantascienza ci ha abituato in qualche maniera a concepire altri spazi con coordinate differenti, multi-spazi, e via dicendo. In relazione al tempo questo è molto più difficile da immaginare, ma in ogni modo si ha l'idea di manipolare il tempo reale. In effetti, il tempo virtuale è il tempo reale e d'altronde è del tutto paradossale e ambiguo il fatto che si chiami tempo reale il tempo proprio della virtualità, il quale non è più in alcun modo il tempo della realtà, quello cioè che in ogni caso scandisce la durata dello sviluppo fra passato, presente e futuro. Nessuna di queste tre categorie di tempo ha più valore: il tempo reale è l'istantaneità dell'operazione, è il tempo stesso dell'operazione, e perciò ciascuna operazione ha in un certo senso un tempo proprio, che però non corrisponde più a una cronologia. In effetti non c'è più una memoria, non c'è più la possibilità né di prevedere il futuro in funzione dei dati della realtà, per l'appunto, né tanto meno di contemplare una memoria vivente di ciò che ha avuto luogo, perché nel tempo reale non esiste più la dimensione storica, né tutto quanto si svolge nella storia, nel tempo al cui interno esisteva la storia. Tutto ciò non è più reperibile o recuperabile a livello di tempo reale, e questo pone numerosi problemi in quanto proprio ora, alla fine del ventesimo secolo, siamo impegnatissimi a tentare di recuperare tutta la storia del Novecento, di comprendere cosa ne sia stato, e regolare i conti sospesi, fare un bilancio. In effetti non ci si riesce, si cerca di resuscitare tutto ma senza successo, poiché ormai non siamo più nel tempo storico ma in una diversa dimensione temporale: quella del tempo reale, e il tempo reale è privo di coordinate, per così dire. E dunque probabilmente non è l'unico, può non essere il modello definitivo, e saremo noi a stabilirlo, ma in ogni caso esso rappresenta comunque una rottura del senso del tempo, questo è certo. In relazione allo spazio si ha l'impressione che esso si moltiplichi nel mondo virtuale, che si abbia la capacità di abbracciare tutti gli spazi possibili; per quanto riguarda il tempo, al contrario, si percepisce una contrazione straordinaria, la quale fa sì che tutto si riduca all'istante dell'operazione che avviene in quel momento particolare, e che subito dopo non vi sia più ricordo. Beninteso, dico questo non per nostalgia di un oggetto perduto, anche se da un punto di vista esistenziale l'abbiamo effettivamente perduto, ma in base a termini dettati da una situazione diversa, del tutto originale, della quale però non abbiamo i mezzi per poterne prefigurare compiutamente le conseguenze.

Lei ha descritto il mito della caverna di Platone come chiave di interpretazione del conflitto fra reale e virtuale. Ce ne può parlare?

Risposta
L'immagine di Platone è diversa in quanto si riferisce alla figura di una nascita, di qualcosa di irreale in quanto ombra di qualcosa, ma tuttavia il mito parla comunque dell'essere. Ci sono ombre che si muovono in circolo e noi non siamo che il riflesso di un'altra sorgente, che esiste altrove, una fonte luminosa dinanzi alla quale però si interpone un corpo, e le ombre sfilano. Nel mondo virtuale, invece, direi che non ci sono né apparenze né essere, non esistono ombre giacché l'essere è trasparente, in un certo senso questo è il dominio della trasparenza totale. Noi siamo perciò come attraversati in qualche modo dai messaggi, dall'informazione, dai megahertz o che so io, da tutto quel che si vuole, poiché noi stessi siamo trasparenti all'interno della realtà virtuale, non abbiamo più un ombra. La nostra, se si vuole, è tipicamente l'epoca dell'uomo che ha perduto l'ombra. La famosa frase, "egli ha smarrito la sua ombra", è una metafora che sta a indicare che abbiamo perso l'opacità, e in fondo l'essere stesso, lo spessore dell'essere, la sua profondità. Al contempo si è perduto anche il significato che l'ombra aveva un tempo, vale a dire la negatività, la morte. Del resto è vero che di fatto ci troviamo dentro a un sistema che si prefigge di eliminare la morte, nel quale non ci dovrà più essere nulla di negativo, come la fine dell'esistenza e l'ombra. Un sistema totalmente operativo e positivo al cui interno noi saremo tutti trasparenti, comunicativi, interattivi. In questo ambito, perciò, non credo ci sia una scena in cui compaiono queste ombre platoniche. Non so in che contesto ne avevo parlato, ma in ogni caso non sussiste alcun rapporto fra le due immagini se non di contrapposizione, non vi sono analogie.

Nel suo libro "Il delitto perfetto" troviamo la ricostruzione di un delitto, ovvero la morte della realtà e lo sterminio delle illusioni ad opera dei media e delle nuove tecnologie. Ci vuole parlare di questo libro?

Risposta
È difficile parlare di un libro o del tema in esso affrontato. A proposito del titolo, si è trattato in effetti dell'uccisione della realtà, e più ancora che della realtà, a mio parere, delle illusioni. Voglio dire che la perdita più grave è senz'altro quella dell'illusione, vale a dire di una parte diversa del nostro rapporto con l'esistente. Il concetto di realtà è relativamente recente, contiene un sistema di valori solo da poco consolidatosi. Per contro, mi sembra che l'illusione sia parte integrante dell'organizzazione simbolica del mondo, ed è perciò assai più dinamica. È l'illusione vitale di cui parla Nietzsche, costituita da apparenze, fantasie, e tutto ciò che può essere la forma di una proiezione, come una scena diversa da quella della realtà. E mi pare che essa sia stata completamente eliminata da questa operazione del virtuale che, in parole semplici, io chiamo "delitto" ma che in fondo non è che una metafora un poco esagerata e forse persino non troppo giusta, nella misura in cui non si tratta in realtà di un crimine o di un assassinio in senso simbolico. Quando Nietzsche diceva "Dio è morto", ad esempio, intendeva identificare con l'uccisione di Dio una rivoluzione positiva, se così posso esprimermi, mentre nell'altro caso non abbiamo un omicidio ma una eliminazione, una scomparsa, un annullamento, cosa alquanto più grave. Quanto all'aggettivo "perfetto", esso denota come il vero delitto, come sto per dire, consista nella perfezione, perché vuol dire che è quest'ultima il risultato finale. Questo universo reale, imperfetto e contraddittorio, pieno di negatività, di morte, viene depurato, lo si rende "clean", pulito; lo si riproduce in maniera identica ma dentro a una formula perfetta. Così avremo bambini perfetti grazie alla manipolazione genetica, avremo un pensiero perfetto grazie all'intelligenza artificiale, e così via. La perfezione è dunque questo ideale in certo modo perverso che rappresenta il vero delitto. A mio avviso, insomma, il delitto consiste nella perfezione di questa specie di modello ideale che si vuole sostituire alla realtà e al contempo all'illusione.

La sua posizione nei confronti dei media è estremamente critica: quali sono, a suo avviso, i rischi maggiori per una società dell'informazione come la nostra?

Risposta
Sì, il mio atteggiamento è di critica, e certamente lo difendo in quanto è quello sperimentato più a lungo nel tempo, e si richiama un po' all'eredità del pensiero critico; in fondo, tutto il pensiero critico tradizionale non può che essere anti-mediatico, non può che muovere obiezioni ai media. Anch'io ho formulato una sorta di critica radicale, ma è ormai talmente nota che non vale la pena tornarci sopra ancora una volta. In qualche modo è vero che i media fanno il loro lavoro e sono un elemento essenziale nella strategia del delitto perfetto, in un certo modo ne fanno parte: ma questo è ancora troppo semplice. Io direi invece che la mia è piuttosto una posizione ironica in rapporto ai media. I media si frappongono in maniera tale fra la realtà e il soggetto, che, mi pare, non ci sono più interpretazioni possibili in quanto l'informazione rende l'accadimento incomprensibile. L'evento storico non si sa più cosa sia quando passa attraverso i media, in breve si ha una transustanziazione di questo tipo in tutto ciò che i media fanno, così che ne risulta quel che io chiamerei una simulazione, un simulacro, e perciò non esiste più né il vero né il falso: non si sa più quale sia il principio della verità. Questo è certamente un dato importante; ma infine, c'è davvero bisogno della verità? In fin dei conti, l'obiettivo dei media non è stato forse di eliminare effettivamente il principio morale e filosofico della verità, per installare al suo posto una realtà completamente ingiudicabile, una situazione di incertezza che, se si vuole, può ben essere immorale e difficile da sopportare, ma che in certo modo è ironica? Se guardiamo alla cosa con ironia, scopriamo che i media si sono dedicati a smontare questo principio di verità, autorità e certezza che rappresenta del resto, bisogna dire, il fondamento di tutta una civiltà dal carattere autoritario e moralmente rigoroso. Dunque i media svolgono anche questa funzione di scomposizione, e si possono interpretare nell'altro senso. Allo stesso modo tutta la tecnica in generale, non solo i media, ma gli strumenti tecnici, le macchine, eccetera, sono in certo senso anch'essi dei mezzi per togliere realtà al mondo, e inoltre, come ho detto, per instaurare una sorta di incertezza, di gioco, e finalmente di amoralità delle cose. E forse in tal modo essi ci liberano dal dovere di attenerci ai principi di verità, di obiettività, e di tutti i princìpi su cui è fondata la nostra morale. Tutto questo, evidentemente, è per noi destabilizzante, non c'è alcun dubbio, ma è sempre la stessa storia: da una parte si perde, in misura enorme, ma se si sa affrontare la situazione in una certa prospettiva si può pervenire a un'interpretazione ironica, nel senso che l'ironia può ispirare una visuale totalmente relativizzata e destabilizzata. Si può perdere, certamente, ma forse si possono anche trovare nuove regole per giocare. Sono perciò radicalmente critico contro i media nel quadro del sistema dei valori umanistici, ossia quello che noi conosciamo e che è nostro: a questo livello bisogna essere assolutamente critici e addirittura spietati. Se però si affronta la questione diversamente, e ci si pone al di là della fine, al di là di quel principio, in un eventuale altro universo, allora non si può dire: può darsi che i media, la tecnica, eccetera non siano che operatori di qualcosa che non so descrivere, di un gioco, di ironia, non so.

Qual è, se c'è, a suo avviso, la vera seduzione di Internet?

Risposta
La seduzione? Beh, io non ho mai parlato di seduzione a proposito di Internet, e mi stupirei se l'avessi fatto. A mio parere non ve n'è traccia, in alcun modo, poiché la seduzione in ogni caso suppone appunto una relazione, un rapporto a due; quale che ne sia il carattere la seduzione esiste sempre all'interno di uno scambio duale. In Internet, al limite, c'è un'interazione, che non è in alcun modo una relazione duale poiché non è fondata sull'alterità, e non è nemmeno una relazione di confronto, di sfida, eccetera. Abbiamo invece un rapporto di immersione, di interazione: là dentro non esiste seduzione, al massimo si produce, evidentemente a livello collettivo, una reazione di fascinazione, ma come avviene al cospetto di un universo feticcio, di un oggetto d'adorazione. Non dico questo per negare [questa realtà], anche se è vero che non vi partecipo, non le appartengo, e in un certo senso sono dunque un cattivo giudice e parlo per partito preso; ma quel che mi sembra chiarissimo è che per esserci una seduzione bisogna che ci sia una scena della seduzione, e dei veri attori, non semplicemente degli interattivi, ma attori che mettano in gioco la propria identità al fine della seduzione. Sia nella seduzione amorosa che di altro genere, artistico, estetico, o altro, si verifica una messa in gioco dell'identità, e persino una perdita dell'identità ma nel contesto di un rapporto duale. Poi esiste un piacere della seduzione che non ha nulla a che vedere con il fascino dello schermo e dell'operazione su Internet. Perciò no, farei una distinzione completa fra le due cose, e certamente non ho mai parlato di seduzione a proposito di Internet, non è proprio possibile. C'è semmai una relazione di attrazione, e questo è evidente, la cosiddetta fascinazione collettiva, questo può essere. Ma è di nuovo il discorso di prima, occorre trasferirsi sul piano dell'ironia e dirsi: "Tutto questo non è forse un'altra scena su cui noi rappresentiamo la commedia di Internet e di tutto il mondo virtuale, della cibernetica, eccetera?" A livello collettivo forse anche questo è soltanto un grande gioco, che non occorre necessariamente prendere del tutto sul serio, così come ogni giorno si dà la commedia della politica e di un mucchio di altre cose. Ebbene, esiste una scena della politica, la quale però è ormai diventata l'ambientazione di un teatro se non comico, almeno, in ogni caso, molto meno drammatico, senza dubbio. Internet è nuovo, originale se si vuole, ma come dico, ne esiste già una replica nei media. Internet stesso si trova già sdoppiato nel commento mediatico che se ne fa e nel suo consumo globale, e pertanto Internet stesso non è già più Internet, ma è stato attirato nel sistema della simulazione, e in fondo è già stato trasformato. Si entra nella cultura del Web, del Net, e al contempo si è già nell'iper-realtà di queste stesse entità, perché in quel senso non ci si ferma, ed è un bene: voglio dire che altrimenti si potrebbe credere che Internet sia la rivoluzione tecnica, l'ultima, quella definitiva, e si potrebbe pensare "Siamo arrivati, ci siamo, questo è veramente il progresso assoluto, e si è completato". Ebbene, questo sarebbe la morte, in un certo senso, ma fortunatamente Internet sta ridiventando l'oggetto di un gioco, e in fin dei conti si consuma un po' al modo in cui certe persone pagano per un telefonino cellulare solo per far vedere di averlo. Possono essere milioni le persone che si comportano così, si può creare in tal modo una nuova cultura, un nuovo ambiente, ma nonostante tutto bisogna stare bene attenti a non prendere troppo sul serio l'idea che i fondamenti dell'uomo e della sua civiltà saranno rivoluzionati da una tecnica, qualunque essa sia, anche Internet.

Come pensa sia mutato il nostro rapporto con la realtà in seguito all'accelerazione del progresso tecnologico nel corso di questi ultimi anni?

Risposta
Certamente il rapporto con la realtà è cambiato, ma c'era dunque una realtà? Bisogna anzitutto pensare a questo problema, bisogna credere alla realtà perché il rapporto con essa si trasformi. Io non sono sicuro, non lo sono mai stato, che si sia veramente creduto alla realtà. La realtà esiste, ma non le si crede: un po' come con Dio, nel senso che potrei dire che esiste ma non ci credo. In qualche modo si è creato un rapporto al contempo da credente e da incredulo. Questo ovviamente accade più velocemente con le nuove tecnologie, perché si va sempre più lontano, al cospetto di questa specie di proliferazione dell'informazione, e si diventa via via più scettici. La gente non crede più a nulla; in certo modo neppure alla politica, non più. In effetti, se si vuol prendere sul serio la realtà, almeno nelle apparenze con cui essa ci appare, si scopre di essere ormai sempre più lontani, è evidente. A questo punto, perciò, il vero problema è sapere dove si arriverà, data l'accelerazione con cui si sviluppano quelle tecnologie: perché è vero che questo progresso vorticoso c'è stato nel corso degli ultimi anni, diciamo nell'ultimo ventennio, ma del resto tutte queste cose venivano già osservate e analizzate fin dagli anni Sessanta, e dunque di tempo ne è passato parecchio. Ora però si sta verificando una tale accelerazione che ci si domanda in effetti se non stia prendendo forma una configurazione tipica del caos, vale a dire un'accelerazione e una turbolenza tali che non si sa fin dove si andrà avanti e a quale termine si arriverà naturalmente, con grande rapidità, come a un muro, o a qualcosa di simile al crollo totale della realtà. Possono verificarsi incidenti collettivi? E' probabile, e a tale proposito sarà interessante vedere come una simile catastrofe stia per verificarsi, ad esempio, in occasione dell'anno 2000 con il Bug dei computer. Sarà un evento paradossale: dobbiamo francamente riconoscere l'ironia fantastica, feroce del fatto che invece di presagire la fine del mondo come nell'anno 1000, la nostra catastrofe sarà di natura virtuale, e saremo noi ad averla messa in atto per mezzo della nostra tecnica. Seguendo questo esempio possiamo pensare che ugualmente ci aspetta, e a breve scadenza, una forma di implosione collettiva di queste tecniche e tecnologie: ce ne sono le tracce, già se ne vedono prefigurazioni nei crack finanziari e delle borse, e lo si vede bene in relazione a certi frammenti del sistema, frammenti interi che possono cadere d'un sol colpo. Ma allo stesso tempo si gioca con l'idea di farsi paura in questo modo: io credo che sia difficile fare previsioni per la ragione detta poc'anzi, ossia che ci troviamo nel tempo reale, e che non siamo in grado di formulare alcuna prefigurazione di quanto accadrà fra dieci anni, questo non è possibile, dobbiamo fermarci qui.

Allora è vero che si ha paura del Bug del millennio, o no?

Risposta
Sì, in fondo c'è anche questo timore, ma è al contempo come una fascinazione, sicché allo stesso tempo si ha paura e ci si dice: "Sì, mi piacerebbe proprio che accadesse qualcosa nella realtà". Stranamente, infatti, siamo in un mondo che ha una sovrabbondanza di accadimenti e di informazione, eppure si ha l'impressione che non accada più nulla ormai, e perciò si va alla ricerca addirittura di un evento totale, di qualcosa che possa fungere da principio di catarsi. E così la scadenza simbolica del millennio serve precisamente a cristallizzare questa ricerca dell'immaginario. Ora, in presenza di una forte cristallizzazione si producono effetti estremamente positivi ed estremamente negativi. Si ha quindi una specie di speranza nell'anno 2000, l'idea che si riazzereranno tutti i computer, che si laveranno i panni di tutto il ventesimo secolo così pieno di violenza, guerre, eccetera, e che si ricomincerà da capo con una forma di innocenza collettiva. Questa speranza esiste, ma al contempo si affianca a una speranza inversa, credo, ossia non proprio che tutto sprofondi ma che si verifichi un vero disastro, un incidente non so bene di che natura, il quale dia vita a un evento davvero determinante e decisivo. Ecco dunque che tutti gli avvenimenti con i quali si ha a che fare in questa fine secolo sono in fin dei conti dei grandi pseudo-eventi, delle grandi produzioni mondiali, che si tratti di Diana, di Clinton o di altro. In realtà non sono fatti, ma specie di scenari per un consumo di massa, non semplici eventi. Insomma, non saprei dire cosa la gente speri: al contempo ci si aspetta il peggio e il meglio, ed è una fortuna, perché vuol dire che c'è ancora spazio per l'immaginario.

Lei ha affermato che la società attuale vorrebbe sopprimere l'idea stessa di morte. Cosa rappresenta allora la clonazione?

Risposta
Rappresenta una modalità di questa immortalità artificiale, se si vuole, una via per passare al di là della morte, al fine di non subire più il triste destino degli esseri viventi, vale a dire sessuati e mortali per arrivare a trovare un sostituto totale persino dell'esser morti. Ci possiamo riprodurre in maniera identica a quel che siamo e indefinitamente, sicché finalmente abbiamo ritrovato l'immortalità degli esseri protozoici, degli organismi anteriori alla riproduzione sessuata, dei tempi della riproduzione per replica identica. Questa è dunque una forma di immortalità, e non c'è più la morte individuale, al suo posto abbiamo un'impresa tecnica, la quale può persino divenire immaginaria. Non so bene quale dei due termini venga prima, se sia la tecnica a trascinare l'immaginario o viceversa, l'immaginario a indirizzare la tecnica; ma l'idea di espellere la morte, di eliminarla dall'ambito della vita, e infine di mantenere della vita nient'altro che i lati positivi, cancellando tutti quelli negativi, tutto questo è già presente, voglio dire, nell'idea, nella proiezione fantastica. Così questa idea si materializza poi nelle tecniche, che diventeranno quel che diventeranno, ma che certo, necessariamente verranno impiegate in pratica: questo è evidente, perché l'attrazione è troppo forte, e anche se comitati etici e via dicendo si mettono in moto, l'attrazione collettiva è irresistibile. Dunque succederà, si tenterà di eliminare davvero la morte, quella individuale: è di essa che parlo, perché della morte in quanto tale resterà comunque il fantasma, uno spettro che attraversa le varie epoche, è vecchio come il mondo, e appartiene alla nostra civiltà in quanto essa è stata la prima a dotarsi dei mezzi tecnici per tentare di realizzare la morte. Finché un fantasma resta fantasma, bene, fa parte dell'immaginario, ma quando d'un tratto si hanno gli strumenti per farlo divenire realtà, allora il pericolo è massimo, direi, proprio in quel momento perché davvero si rischia di riscontrare come questo fantasma sia egli stesso mortale, nel senso peggiore del termine. Ciò può significare in effetti niente meno che la scomparsa della specie, ma tale è la posta in gioco.

L'industrializzazione della clonazione rappresenta anche l'industrializzazione dell'uomo, e questa è una lunga storia.

Risposta
Eh sì, è una vecchia storia. In sostanza, in passato l'industrializzazione è avvenuta in termini piuttosto di forza produttiva e in relazione al lavoro, e la si sfruttava in quel senso. Ma ora, in effetti, si avrà lo sfruttamento di qualcosa di molto più profondo, ossia dell'idea di non morire, di perpetuarsi, insomma l'idea dell'eternità, dell'immortalità, e di tutto ciò che elevava a una sorta di trascendenza seppure inaccessibile e puramente ideale, in tale ambito. Tutto quanto era ideale e trascendente si tenta ora di renderlo operativo industrialmente, non è vero? Perciò la questione assume nel suo complesso anche una rilevanza economica, ma ci sono aspetti che definirei del tutto simbolici, anche se non oso pronunciare troppo questa parola, ma insomma sì, persino simbolici, e quelli sono sicuramente i più profondi. Ad ogni modo, le due cose forse procedono di pari passo.

Da tutto ciò discende una nuova morale?

Risposta
Io credo di no. In definitiva, ogni tentativo di opporsi a questo processo, di ricreare, trovare un suo senso etico, oppure di realizzare una sua regolamentazione etica mi sembra sia destinato alla sconfitta. Non vedo la minima possibilità di recuperare una morale a misura di questo nuovo fenomeno, perché la morale in fondo presuppone un'essenza dell'uomo in quanto tale, un principio, come dire?, di libertà, di responsabilità, eccetera. L'individuo con la propria libertà, in rapporto con la dimensione sociale, e via discorrendo, - tutti questi elementi sono stati largamente marginalizzati nel contesto di questa nuova impresa. Non vedo più una morale, ma non trovo che questo debba condurre alla disperazione. Questa impresa è davvero fondamentalmente amorale, e non penso che alcun comitato etico possa farci nulla. Del resto si vede bene come tutti questi comitati siano immediatamente e a priori votati alla sconfitta, ma si continuerà a crearne in quanto bisogna salvaguardare la finzione di una morale: occorre che nonostante tutto questa società si rifletta in una qualche specie di specchio morale e filosofico, perché non può dedicarsi moralmente a un'impresa di quel genere, ma deve contemplare un'immagine simile a se stessa, nutrire starei per dire una qualche specie di nostalgia per un sistema di valori. Ma tale sistema di valori viene spazzato via da questa impresa scientifica, o forse para-scientifica. Non posso giudicare il principio scientifico di questa storia, né la natura oggettiva delle cose. Ma in termini di conseguenze è vero che soprattutto l'universo morale, filosofico, ma anche quello sociale si trovino in grave ritardo.

 

 

(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)


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