"Ci serve un'etica della distanza. Zygmunt Bauman rilancia la critica alla globalizzazione
Non possiamo rimuovere le conseguenze delle nostre scelte su tutti gli altri uomini

Oreste Pivetta

L'Unità 30 Gennaio 2000

Parliamo con Zygmunt Bauman, cominciando da Camus che il sociologo polacco cita in una pagina del suo più recente libro, una raccolta di saggi, pubblicato in Italia, "La società dell'incertezza". Scriveva Camus: "C'è la bellezza e ci sono gli oppressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi". Bauman 'riscrive': difficilmente ci può essere bellezza senza solidarietà con gli oppressi.

Professore, è una idea forte che esprime il senso di un'etica conseguente. Come la spiegherebbe?

"Riconoscere non solo di non essere soli, ma di essere responsabili verso gli altri. Che ogni nostro atto cioè vale anche per altri, che gli altri dipendono da noi ... ".

Significa accettare un codice?

"Se esistesse un codice che dice e prescrive cadrebbero le responsabilità. Vivremmo nella sfera della certezza. Invece dovremmo chiederci sempre, con Levinas, se abbiamo fatto abbastanza, dovremmo vivere in ansia per questo, considerando che il dubbio circa l'efficacia delle nostre azioni è una grande chance in una comunità di molti. Ma è pure una minaccia: se le scelte sono un rischio, perchè non preferire l'immobilità della vita individuale, perchè non temere la pluralità? Per questo la società contemporanea è sempre meno morale e gli individui esistono in relazioni mobilissime ... " .

Nel senso che le persone vogliono muoversi?

"E infatti chiedono spazio. Noli me tangere, è il motto sempre presente. Ma la libertà di movimento equivale a cancellare la responsabilità. Movimento è anche volubilità di gusti, sensazioni, costumi, così come vuole la società dei consumi, che può fiorire solo quando la gente non si attacca più a nulla. Ogni giorno un cittadino americano subisce circa tremila messaggi pubblicitari. Ogni atteggiamento si fonda sul breve periodo, la durevolezza viene svalutata ... ".

Movimento si legge anche nella globalizzazione che è un bersaglio della sua polemica...

"Sì, perchè oltre il mercato non si vuol vedere nulla: non un sistema morale globale, neppure una istituzione globale. Come s'è capito a Seattle, dove tutti i paesi si sono divisi su tutto, a caccia ciascuno di possibili benefici. Hans Jonas dice che ci sarebbe bisogno di una nuova etica della distanza, mentre la nostra è ancora primitiva, fondata su una prossimità di quartiere.
Dovremmo pensare alle persone lontane. Il fumo delle nostre auto che inquina l'Europa non risparmia l'intera atmosfera; siamo tutti contro la guerra, ma le nostre armi alimentano guerre a migliaia di chilometri... Non sappiamo tradurre la nostra responsabilità globale in una politica globale, gestita da istituzioni globali.. Questa sarebbe la vera sfida".

Tra ì valori che fondano una cultura e quindi una politica, accanto alla solidarietà lei colloca libertà e differenza (che probabilmente implica il concetto di uguaglianza).

"La nostra libertà si misura sempre più in un cammino che esaspera l'individualità. Ci si può trovare soli di fonte a una scelta e per paura si può fuggire la libertà, che è sempre un affare difficile e persino sgradevole, perchè compie operazioni di esclusione e di separazione. Ma nella società postmoderna la libertà è tutto. Peccato che la libertà unita all'individualismo faccia a pezzi la società e le reti di protezione tessute insieme ... " .

Siamo arrivati al welfare ... Lei sostiene che spendere meno per il welfare significa poi spendere di più per la polizia, per le prigioni, per i servizi di sicurezza, per i sistemi di allarme... E' una immagine molto americana che esprime un'altro concetto a lei caro: meno socialità e meno solidarietà, di conseguenza più esclusione.

"Scrivevo appunto che la politica di tagli al welfare segue ben presto una curva ascendente, mentre la povertà, ridefinita come problema di ordine o come problema medico-legale, sviluppa un sempre maggior bisogno di risorse. Chi è già escluso o chi si trova sulla soglia dell'esclusione viene sospinto dentro limiti invisibili ma solidissimi, che limitano i nuovi territori dell'emarginazione, mentre la libertà individuale di chi è già libero non guadagna molto in termini di risorse da questa eliminazione. L'unico esito assicurato è la percezione di una sensazione sempre più generale di insicurezza. Richard Rorty aveva indicato il percorso storico: dall'imborghesimento della classe lavoratrice alla proletarizzazione dei ceti medi, che vivono come tutti l'insicurezza del lavoro anche quando sembrano sicuri".

Ma chi rimedia a una tendenza che sembra ormai dominante?

"Sembriamo rassegnati alla dittatura del pensiero unico, come indica Bordieu. E' stato inventato un acronimo, TINA. There is no alternative. Non ci sono alternative. Se si cercano alternative, si passa per conservatori e antiquati. Sono pessimista ... ".

Anche la politica non risponde?

"Anthony Giddens ha sostenuto una tesi ormai molto popolare: che la Politica come disegno comune è finita e viene sostituita dalla politica della vita. Al grande disegno si sostituisce dunque la pratica degli individui. Ma non ci credo, non sono d'accordo. Giddens lascia le cose come stanno. Giddens non può pensare di maneggiare così questioni del nostro tempo, questioni davvero universali, che dovrebbero essere affrontate da una politica collettiva.
Spiega bene Cornelius Castoriadis che la democrazia è l'unico strumento di una politica collettiva. Riprendiamo una distinzione di Castoriadis tra l'oikos, cioè la sfera privata, e l'ecclesia, il foro dei problemi pubblici. In mezzo è l'agorà, dove pubblico e privato si misurano e s'incontrano. Stiamo perdendo l'agorà, perchè si è indebolita l'ecclesia. Cioè la nostra ecclesia, lo stato nazione, esercita un potere sempre più limitato. La domanda diventa: chi farà che cosa? La sovranità nazionale nell'epoca moderna non è più praticabile. I governi nazionali sono le stazioni di polizia del potere globale ... ".

Almeno la società civile non soffrirà più il peso dello stato?

"Habermas parlava di colonizzazione della società civile. Orwell rappresentò perfettamente lo stato totalitario, oppressivo. Oggi mi pare che stia avvenendo qualcosa di molto diverso e se c'è una data per questa rivoluzione culturale dobbiamo risalire al 1981. Siamo in Francia e nel corso di un talk show televisivo, un'ospite confessò che il marito soffriva di eiaculatio precox, per cui non aveva mai goduto di una vita sessualmente soddisfacente. L'oikos si confonde con l'agorà. La questione privata prende il sopravvento. Proviamo nella politica. Non siamo più interessati ai programmi politici, ma alla vita privata dei politici. Il presidente degli Stati Uniti ha rischiato l'impeachment non quando ha proposto la riduzione del welfare, ma quando si è saputo dei suoi rapporti extraconiugali. I leader sono stati sostituiti dagli esempi: qualcuno che dica come vivere o non vivere un problema privato. Alle assemblee sindacali, dove un tempo si discuteva di aumenti salariali e di condizioni di lavoro, si sono sostituite le riunioni delle donne in dieta, per discutere la bontà di una cura dimagrante".

Segnali di un futuro prossimo. Restiamo alla politica. In quella espressione, libertà differenza solidarietà, si può leggere il principio di un programma per la sinistra?

"Tra destra e sinistra corrono le diversità di sempre. La destra sostiene che non ci sono alternative, la sinistra che certe situazioni non sono tollerabili. Sono solo un sociologo, che deve indurre la gente a riflettere, mostrando nel modo più chiaro possibile quali possano essere le conseguenze delle nostre azioni".

 

(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)

 

 


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