Zygmunt Bauman: "Essere infelici oggi è ormai una colpa"

Alessandra Iadicicco

Il Giornale 23 Settembre 2001

I maestri del pensiero discutono al festival di Modena sul rapporto tra gioia e dolore nella società contemporanea .

La vicinanza dei fatti di New York ha indotto i maestri del pensiero riuniti nella festosa agorà modenese a cercare giustificazioni alla scelta di incontrarsi in un fine settimana per parlare filosoficamente di felicità. E' proprio il tema del Festival di filosofia a creare qualche disagio. "E' immorale parlarne adesso - si è chiesto Remo Bodei aprendo i lavori nell'auditorium del collegio San Carlo - o forse mai meglio di ora se ne pub cogliere la casualità, la relatività, l'irrimediabile fragilità?". Ed Emanuele Severino, che terrà questa mattina alle 11 una lezione su "Felicità e verità", scriveva sul Corriere della sera di venerdì: "Quando crescono la violenza e il dolore, cresce anche il bisogno di sapere che ne è della felicità".

Ribaltando drammaticamente i due termini dell'imbarazzante contraddizione (cercare la gioia in un momento doloroso) Zygmunt Bauman ha osservato ieri mattina come nell'edonistica società moderna sia piuttosto l'infelicità a creare imbarazzo. E a esigere una giustificazione. "Oggi la felicità è diventata un dovere - ha detto l'emerito professore di sociologia alle università di Leeds e di Varsavia - la tristezza è invece una colpa, Chi è infelice è dunque costretto a giustificarsi, a cercarsi degli alibi".

Nei giorni in cui più che mai il benessere fieramente ostentato dalla società contemporanea mostra la sua gracilità, abbiamo chiesto a Bauman se la felicità non sia ormai che una finzione. O un ricordo. "Non saprei come definire la felicità. La sua caratteristica principale sta nel fatto che non è né comunicabile né condivisibile. E ciò mette realmente in difficoltà un sociologo. Non voglio spiegare che cosa sia, ma piuttosto descriverne "l'avventura storica"; in sintesi, siamo passati da un'epoca in cui la .felicità era privilegio di pochi a quella in cui è diventata un diritto universale per ogni membro della specie umana. Infine oggi la si cerca ovunque nella vita quotidiana, moltiplicando all'infinito desideri che sono destinati a restare insoddisfatti. L'ideale di felicità ne viene indebolito. Non c'è più un'idea forte, una meta finale".

In libri come Voglia di comunità (Laterza, 2001) o La solitudine del cittadino globale (Feltrinelli, 2000) lei ha sottolineato il sempre maggiore scollamento tra la dimensione del singolo e un mondo pubblico di dimensioni planetarie. Dove nasce questa frattura?

"Il mondo globalizzato ha reso impensabile qualsiasi dimensione locale. La globalizzazione ci rende tutti dipendenti l'uno dall'altro e proietta le azioni umane in dimensioni che sfuggono alla nostra portata. Nello spazio come nel tempo. Un altro aspetto è la separazione tra il potere reale e le istituzioni politiche tradizionali. I poteri reali trascendono i confini delle istituzioni che si sono formate in duecento anni di storia di democrazie moderne".

E' quanto è emerso dal recente attentato agli Stati Uniti?

"Gli eventi drammatici della scorsa settimana hanno mostrato i limiti degli stati nazionali. La vecchia forma Stato non ha più le risorse per fronteggiare i pericoli reali del mondo globalizzato o per garantire la sicurezza dei propri confini".

L'attacco agli Stati Uniti può essere letto come lo scontro titanico tra due forme di globalizzazione?

"Di sicuro chiunque ha compiuto l'attacco ha selezionato i propri bersagli in modo accurato. Ha colpito i simboli di un dominio globale nel luogo del potere economico, cioè le Torri gemelle, del potere militare, ovvero il Pentagono, e del potere politico, prendendo di mira la Casa Bianca. In un solo modo i responsabili potevano dare prova di una formazione sociologica anche migliore: colpendo Hollywood, il centro del potere culturale".

 

(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)

 


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