Nelson Goodman. Il filosofo che minò il primato assoluto della scienza "Nella conoscenza arte e letteratura hanno pari dignità"

Editoriale

Il Tempo, 22 Luglio 2001

Che la letteratura, e più ampiamente, l'arte sia strumento di conoscenza è un'idea che non trova opposizione. "Il giorno" di Parini, "I Malavoglia" di Verga e le tragedie greche o "La divina commedia" rappresentano "documenti" che ci permettono di conoscere idee, movimenti, successi ed insuccessi di società del passato. Non sempre accettata, invece, è la concezione stando alla quale la letteratura sia essa stessa conoscenza-rappresentazione di realtà le più disparate perseguita con mezzi non scientifici, vale a dire con la tragedia, la commedia, la satira, il romanzo storico, il poema cavalleresco, la novella, il pamphlet e così via. Certo, una simile concezione della letteratura, e dell'arte più in generale, non è l'unica a disposizione. Essa può contare teorici antichi (Aristotele, in qualche modo; e gli Stoici, per esempio), più tardi Schelling e lo stesso Croce, il quale vide nell'arte una "conoscenza intuitiva del particolare". Romantici, realisti e naturalisti, simbolisti hanno tutti sostenuto, con ragioni diverse e in contesti differenti, che l'arte è vera e più profonda conoscenza. Ai nostri giorni, la teoria che l'arte sia conoscenza ha trovato la più acuta riformulazione nel pensiero del filosofo americano Nelson Goodman.
Non sfugge a nessuno che se la scienza è monoglotta, la letteratura - e, più in genere, l'arte - è invece poliglotta. Ci fa conoscere realtà e situazioni le più differenti utilizzando strumenti e registri linguistici diversi: informa facendoci ridere o commuovere; provoca indignazione o disprezzo descrivendo; fa riflettere - sulla bontà e la cattiveria umana, sul senso o non senso della vita, sull'amore e sull'odio, sulla speranza o la disperazione - coinvolgendoci con la commedia; propone morali nella favola; critica costumi e scelte morali inventando un colloquio nel regno dei morti; irride il potere esistente creando con la fantasia società inesistenti; incarna i contrasti tra idee in lotte tra uomini. Ed è un dato di fatto che ignorare i grandi scrittori e i grandi poeti, vivere a distanza dalle opere d'arte, significa in qualche modo, condurre una vita spiritualmente più povera. E questo per la ragione che, nel "tempo dell'indigenza" - per dirla con Martin Heidegger - sono proprio i poeti a svelare la verità, sono non di rado gli artisti e i poeti a offrirci occhi per vedere meglio, per vedere più in profondità. Ha scritto uno dei nostri più illustri filologi, vale a dire Giorgio Pasquali, che "anche l'arte è forma di conoscenza, e può progredire e può approfondire; chi, per superstizione dei modelli classici, si rifiuta di intendere l'arte moderna, mutila l'anima propria".
E Noam Chomsky, da parte sua, ha affermato "che si imparerà sempre più sulla vita dell'uomo e sulla sua personalità dai romanzi che non dalla psicologia scientifica". E ancora qualche altra testimonianza. Italo Calvino: "Io credo questo: le fiabe sono vere". Ezra Pound: "Ho detto che le arti ci danno i nostri migliori dati per determinare che sorta di creatura sia l'uomo". Carlo Bo: "Sappiamo che la letteratura è una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi". E, ancora, Pablo Picasso: "L'arte è la menzogna che ci permette di comprendere la verità".
In ogni caso, il pensatore che, più di ogni altro, ha indagato ai nostri giorni il tema connesso al carattere conoscitivo dell'arte è stato, come sopra si è accennato, Nelson Goodman. Goodman non si inginocchia davanti al linguaggio della fisica; non accetta l'idea di quei filosofi e di quegli scienziati i quali credono che l'unica vera descrizione del mondo ci venga offerta dalla scienza e, in particolare modo, dalla fisica.
Per Goodman "il mondo ha tanti modi di essere quanti sono i modi in cui può essere fedelmente descritto, visto, dipinto, ecc. e non esiste qualcosa che si possa dire come il modo di essere del mondo". Il dato puro e l'occhio innocente - dopo quanto hanno detto pensatori come Berkeley, Kant, Cassirer, Gombrich, Bruner - sono semplicemente miti: "Non esiste occhio innocente. Quando si pone al lavoro, l'occhio - dice Goodman - è sempre antico, ossessionato dal proprio passato e dalle suggestioni vecchie e nuove, che gli vengono dall'orecchio, dal cuore e dal cervello . Non solo come, ma ciò che vede è regolato da bisogni e presunzioni. Esso seleziona, respinge, organizza, discrimina, associa, classifica, analizza, costruisce. Non tanto rispecchia, quanto raccoglie ed elabora; e ciò che raccoglie ed elabora esso non lo vede spoglio, come una serie di elementi senza attributi, ma come cose, cibo, gente, nemici, stelle, armi". La realtà è che l'occhio innocente è cieco e la mente vergine è vuota. "L'occhio più neutrale e quello più prevenuto sono semplicemente sofisticati in modo diverso".
Ebbene, all'interno di questo orizzonte teorico, quale è il destino di quelle versioni del mondo che emergono dalle produzioni artistiche? Questa la risposta di Goodman: "Le arti devono essere prese in considerazione non meno seriamente delle scienze in quanto modalità di scoperta, di creazione, di ampliamento della conoscenza nel senso largo di progresso nel comprendere". Si potrebbe pensare che raffigurazioni o descrizioni di personaggi inesistenti non dicano niente sul mondo; così sarebbe il caso, per esempio, di don Chisciotte.
A questo proposito, Goodman - in "Vedere e costruire il mondo" - scrive che "opere di finzione in letteratura, e opere analoghe nelle altre arti, giocano un ruolo assolutamente dominante nel nostro fabbricare mondi; i mondi che abbiamo li ereditiamo dagli scienziati, dai biografi o dagli storici quanto dai narratori, dai drammaturghi o dai pittori". E, puntando l'attenzione proprio sull'esempio di don Chisciotte, Goodman afferma: "Don Chisciotte, preso letteralmente, non si applica a nessuno, ma, preso in modo figurato, si applica a molti di noi, a me, per esempio, quando combatto contro i mulini a vento della linguistica contemporanea". Questo ci dice che parlare di "cose possibili" può essere "felicemente reinterpretato nei termini di un discorso su cose reali, per cui - conclude Goodman - chiedersi se una persona è un don Chisciotte o un don Giovanni è una domanda vera e propria, quanto chiedersi se una persona è paranoica o schizofrenica". La finzione - sia essa letteraria, pittorica o teatrale - non ha come suoi referenti il nulla o mondi possibili campati per aria; i suoi referenti, per quanto metaforicamente, sono i mondi reali. Per dirla diversamente: "La finzione opera in mondi reali né più né meno come quel che finzione non è. Cervantes, Bosch e Goya, né più né meno di Boswell, Newton e Darwin, ereditano, disfano, rifanno, replicano mondi reali, rimaneggiandoli in modi importanti e a volte anche oscuri ma alla fin fine riconoscibili - cioè proprio ri-conoscibili". E questo discorso Goodman Io estende anche ai quadri "completamente astratti": "Dopo nemmeno un'ora di visita a una mostra di pittura astratta, ogni cosa tende a configurarsi in regolarità geometriche o a vorticare in forme circolari o a intrecciarsi in tessiture arabescate, a contrastare come un bianco e nero o a vibrare di nuove consonanze e dissonanze di colore".
Da quanto detto, risulta che non regge affatto la "dispotica dicotomia" tra cognitivo (o scientifico) ed emotivo (o artistico). Non si può distinguere l'estetico in termini di piacere, in quanto "non è affatto chiaro se un quadro o una poesia forniscano maggiore piacere di una dimostrazione matematica".
Questo scrive Goodman in "I linguaggi dell'arte", dove aggiunge che attenuare, per l'esperienza estetica, il termine "piacere" con quello di "soddisfazione" non risolve minimamente il problema, giacché una ricerca scientifica può dare grandi soddisfazioni, mentre oggetti ed esperienze estetiche possono non darne affatto. E c'è di più: noi non possiamo dire neppure che l'attività estetica sia diversa da quella scientifica a motivo del fatto che l'estetico non sarebbe diretto a fini pratici; questo non possiamo dirlo per la ragione che "la ricerca disinteressata include tanto l'esperienza scientifica che quella estetica. Qualsiasi raffigurazione dell'esperienza estetica come una sorta di bagno od orgia emozionale è palesemente assurda. L'esperienza estetica e quella scientifica - sentenzia Goodman - hanno entrambe un carattere fondamentalmente cognitivo".