Richard Rorty: Il filosofo delle Orchidee

Giulio Giorello

“Corriere della sera ” 12 Giugno 2007.

Che cosa c’entra Trotzkij con le orchidee selvagge? Lo spiegava (1999) Richard Rorty: i suoi genitori avevano preso le difese del grande bolscevico rifugiatosi in Messico, mentre il piccolo Richard sfogliava con simpatia e apprensione (per la mole) i volumi della monumentale Storia della rivoluzione russa con cui il nemico numero uno di Stalin aveva sfidato l’ortodossia comunista. Per quanto concerne i fiori, il ragazzo amava seguire i genitori nelle escursioni sulle montagne del New Jersey. Poteva l’amore del bello conciliarsi con la passione per la giustizia? Forse, gli arcigni militanti della Quarta Internazionale non avrebbero capito; ma è chiaro perché il giovane Rorty avesse da subito cominciato a detestare certi usi del piccone, come quello per distruggere una flora che può essere immagine della ricchezza e della varietà della vita o quello di spaccare il cranio agli avversari politici (cosa che capitò appunto al Leone che era stato il vero eroe della rivoluzione d’Ottobre). Amava dire: “Per certuni è un buon segno essere attaccati sia dalla destra sia dalla sinistra, e se le cose stanno così, sono stato fortunato”. In America e altrove conservatori e reazionari lo hanno trattato da relativista irresponsabile; i progressisti lo hanno accusato di essere fin troppo compiacente nei confronti delle libertà “borghesi”. Rorty si è spento venerdì scorso a Palo Alto (California), dopo una lunga malattia. Era nato a New York il 4 ottobre 1931. Aveva insegnato a Princeton (New Jersey), in Virginia e infine a Stanford. Si era formato confrontandosi con i principali “eterodossi” del neopositivismo e della filosofia analitica, come Willard Van Orman Quine, Nelson Goodman e Donald Davidson. Era stato stimolato dalla concezione della scienza delineata da Thomas Kuhn (il dogmatismo della usuale routine è sporadicamente sconvolto da vere e proprie “rivoluzioni” nella ricerca e nella didattica) e dall’anarchismo di Paul Feyerabend (non c’è regola scientifica che, con buona pace dei filosofi, non venga violata dagli scienziati quando conviene loro comportarsi da “eccentrici”). Il suo personale “ammutinamento”, Rorty, lo aveva realizzato con La filosofia e lo specchio della natura, comparso nel 1972 (pubblicato da noi nel 1986). Aveva cominciato a mettere in discussione la distinzione tra filosofia “analitica” (tipica della tradizione anglosassone) e filosofia “continentale” (radicata nei grandi sistemi della vecchia Europa) - e già di questo dovremmo essergli grati, dato che tali etichette si sono rivelate sempre più sterili e inadeguate. Dei pragmatisti americani Rorty ha sviluppato l’idea che vi può essere razionalità anche senza verità o realtà ultime. A un’idea rigida di “oggettività” Rorty preferiva quella di “accordo non costrittivo”, alla “verità oggettiva” (o alle “essenze” di cui erano innamorati Platone e Aristotele) l’“uso della ragione” in pratica, senza escludere interpretazioni diverse da quelle che comunemente si danno per scontate. La democrazia viene prima della Verità. E anche della pretesa di governare muovendo da questa o quella Rivelazione, che sia religiosa o politica. Ma Rorty non era tipo da saltare alla conclusione che i fatti non esistono e che tutto è solo interpretazione. Il suo relativismo si ancorava al riconoscimento della portata esplicativa delle idee darwiniane, sia per la natura sia per la cultura. Gli esseri umani sono stati modellati dall’evoluzione in modo da fare emergere forme sempre più articolate di collaborazione: l’impresa scientifica è la manifestazione più imponente di una laica solidarietà. Ciò può sconcertare chi - da destra o da sinistra - teme che non si possa più “fondare” una pedagogia cui sottoporre le giovani generazioni. Noi continuiamo a preferire le orchidee selvagge.

 

(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)

 


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