Al di là del bene e del male

Friedrich Nietzsche

Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft, Naumann, Leipzig


Al di là del bene e del male - Friedrich Nietzsche

pagine 228

9,00 euro

1886, ed. italiana, 1968, 1977

Adelphi, Milano

"Questo libro è composto di annotazioni da me fatte durante la nascita di "Così parlò Zarathustra", o - più esattamente - durante gli intermezzi di quella nascita, sia per ristorarmi sia anche per interrogare e giustificare me stesso nel pieno di un'impresa estremamente ardita e densa di responsabilità". Così, in un abbozzo di prefazione per "Al di là del bene e del male", Nietzsche scrive sulla composizione di questa sua opera.
Un filosofo, che sente di non essersi ancora pienamente realizzato come tale, che ha parlato dei Greci, si è espresso come psicologo moralista, storico, è giunto infine all'effusione lirica di "Così parlò Zarathustra", ma vuole anche cimentarsi sul terreno teoretico, mira, forse con un'intenzione sistematica, a legiferare sui principi dell'esistenza: è questo il Nietzsche dell'ultimo periodo, che con "Al di là del bene e del male" comincia appunto a manifestarsi. Si può anzi affermare che a un trasparente riaccostamento a Schopenhauer si accompagna in lui un recupero sostanziale, se pure in apparenza sconfessato, della metafisica. Infatti, la costruzione di un sistema della volontà di potenza prende inizio proprio in questo periodo, anche se Nietzsche si mostra tuttora riluttante a condurre un'impresa teoretica, o addirittura metafisica, e preferisce in modo esplicito continuare a condurre le sue micidiali scorribande di nomade negli ambiti della morale, qui crudelmente dissezionata, della psicologia, della storia e della cultura.

Introduzione al volume di Giorgio Colli

Questo libro è anzitutto una sfida al cervello del lettore: tutti, anche senza saperlo, si sentono provocati. Di conseguenza è anche l'illustrazione più pertinente di quanto difficile sia parlare di Nietzsche. Per far questo il lettore deve accettare la sfida, deve - a parer suo - vincerla, e rovesciare poi contro Nietzsche la sfida stessa. Perchè parlare di lui significa dare a intendere che lo si è capito, e poi inquadrarlo, sussumere il suo presunto pensiero sotto
certi concetti.
Ma qui Nietzsche vuole veramente intessere dei pensieri, nel senso di sostenere certe opinioni, sviluppare certe dottrine? C'è da dubitarne, anche se nessuno in cuor suo vuole ammetterlo, Perchè allora si sentirebbe più insicuro, più inerme, e soprattutto soccombente. Perchè se là c'è una dottrina, la si può combattere o accettarla; ma se non
c'è, donde viene e che cosa significa quel turbamento, quel disagio, quel sentirsi scandagliati e giudicati? Ciascuno certo reagisce secondo il suo temperamento, e molti già si cavano dall'imbarazzo semplicemente buttando via il libro. Ma molti non possono farlo, o Perchè l'attrazione supera la repulsione, o Perchè sono vincolati in
qualche modo a dare il loro giudizio. E così si ingrossa il fiume delle interpretazioni di Nietzsche. E se Nietzsche raccontasse soltanto se stesso, dietro il pretesto di paradossali scorribande del pensiero? Forse lui, quando discute di qualcosa, non mira a stabilire che cos'è questo oggetto, e neppure come va giudicato, ma vuole semplicemente raccontare che cosa sente di fronte a questo oggetto.
A lui interessa il modo di sentire - istintivamente, in base alla natura dell'individuo - rispetto alle cose del mondo e ai pensieri degli uomini. Per far questo ha bisogno di cambiare continuamente le prospettive, di far ruotare le cose osservate, in modo di stordire il lettore, di metterne alla prova l'istinto, di obbligarlo alla menzogna reticente, al rifiuto della provocazione. Il fascino di questo libro, forse, deriva dallo spettacolo di qualcuno che si mostra e fugge.
Tutto, qui, si riduce a una dichiarazione di gusto, e il gusto, si sa,è la cosa più incomunicabile e meno confutabile. Nient'altro infatti significa la domanda, con cui Nietzsche intrappola il lettore: 'Che cos'è aristocratico?'. Il libro culmina in questa domanda finale, sapientemente preparata, suggerita da un caleidoscopio di discussioni
all'apparenza rapsodiche. E per contro, che cos'è volgare? Il punto di partenza, per rispondere a questa duplice domanda, è illusionistico.
Qui, nell'"Al di là del bene e del male", la precisazione delle classi aristocratiche e delle virtù aristocratiche non è lo scopo principale, anche se Nietzsche lo pone in evidenza. Viene spiegato che cosa nel mondo della storia manifesta l'istinto aristocratico e quello volgare, per alludere alla natura degli istinti stessi. L'interiorità primitiva con cui un individuo sente il mondo che lo circonda, e reagisce in conseguenza, è ciò che interessa Nietzsche. La documentazione grossolana, macroscopica di questi istinti, è la storia degli uomini.
Ma il gusto aristocratico e quello volgare vanno poi rintracciati all'origine, prima che intervenga la mediazione del collettivo. Ed è allora che Nietzsche racconta, velatamente, se stesso. L'istinto del distacco, ecco, forse è questa la radice dell'aristocratico. Il dividersi, il contrapporsi a tutto quanto sta intorno, nel pensiero, nell'azione, il tenersi fuori, lontano, separato. Questo sembra il"pathos" sotterraneo che sta alla base di tutte le configurazioni del
gusto aristocratico. 'La profonda sofferenza rende nobili; essa divide'. Il dolore è nel gusto di Nietzsche - ed è contro il gusto del mondo moderno. E il distaccarsi, nell'azione, porta al nascondersi di fronte agli altri: così la separazione non sarà turbata. Di qui l'insistenza, nell'"Al di là del bene e del male", sul tema della maschera. Esaminando l'agire degli aristocratici, si scopre che esso esprime prima di ogni altra cosa il loro istinto del distacco, e lo manifesta con una molteplicità di maschere, che vengono fraintese dai volgari come gli unici, come i veri volti. I libri, le opere, le filosofie - se dietro c'è un aristocratico - sono soltanto maschere.
Qui si cela il tranello teso da Nietzsche al lettore, ciò che nessuno si aspetterebbe da lui, e che anche in questo libro appare solo fugacemente. - Voi andate a caccia delle mie opinioni, delle mie dottrine; ma queste sono soltanto delle maschere! E quando parlo degli altri, non datemi retta. - Leggiamo addirittura che è un gesto aristocratico 'il lodare sempre solo quando non si è d'accordo'. Ma allora il biasimare può anche voler dire che si è d'accordo? Qui non interessano più parole, opinioni, pensieri. Indicare la propria natura, conta solo questo. E neppure il bisogno di nobiltà interessa, lo dichiara lui stesso. Chi è aristocratico non sente il bisogno di esserlo, chi ne sente il bisogno non lo è. Infine la solitudine, il "pathos" caratteristico di Nietzsche, qui viene spiegata nella sua origine. La solitudine non è uno stato di abbandono, non è un risultato, non dipende dall'esterno, non è qualcosa che si patisce. La solitudine è istinto per la pulizia, come spontaneità, come qualcosa che nasce dalla natura. Dunque è in questo slancio - 'sublime inclinazione e trasporto per la pulizia' - che Nietzsche esprime nel modo più fisiologico, epidermico, veramente immediato e anti-astratto, la sua risposta alla domanda 'Che cos'è aristocratico?'. Nella solitudine come istinto di pulizia si traduce più concretamente - di fronte alla collettività degli uomini - quell'impulso al distacco, che è uno slancio radicale dell'anima aristocratica. 'Ogni comunità rende in qualche modo, in qualche cosa, in qualche momento - 'volgari''. Ma una vita aristocratica è sopportabile? Chi si distacca sfugge al contatto, sfugge anche - attraverso la maschera - all'esser pensato, conosciuto, ma non è questo un abisso di annientamento? Chi si distacca a quel modo, però, getta uno sguardo attorno a s‚, spia l'orizzonte, spera nella solitudine di scorgere un suo simile. In questa duplicità congiunta si svela compiutamente l'anima aristocratica; se così non fosse, che senso avrebbe, per il solitario, dichiarare il suo istinto, il suo gusto aristocratico, scrivere un "Al di là del bene e del male"? Questa rimane la grande speranza, mai spenta, l'attesa degli amici, e il libro si chiude con tale allusione, nel tragico, straziante epodo.
Prima ancora lo struggimento si era elevato all'allucinazione. Poiché‚ i nobili non appaiono, gli amici, ecco che Nietzsche evoca il suo dio come compagno, amico, conoscitore. E' un nuovo Dioniso quello che così ci appare di fronte, il dio che contrasta l'impulso al distacco di cui si parlava, pur essendo distaccato, il dio adescatore, tentatore. Per questo Nietzsche lo chiama ambiguo: soltanto qui è la risposta totale - in questa ambiguità - alla domanda 'Che cos'è aristocratico?'. Taleè ora il "pathos" dionisiaco: il venir risucchiati fuori di noi, sopra
di noi, venir sedotti, proprio mentre ci si distacca da tutto. E Dioniso non è più la 'volontà di vivere', e neppure la volontà di potenza, bensì 'il genio del cuore', dove sta 'la delicatezza nell'afferrare', la sapienza insomma.



Indice

Prefazione
1. Dei pregiudizi dei filosofi
2. Lo spirito libero
3. L'essere religioso
4. Sentenze e intermezzi
5. Per la storia naturale della morale
6. Noi dotti
7. Le nostre virtù
8. Popoli e patrie
9. Che cos'è aristocratico?
Da alti monti

 


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