Asylums. Le istituzioni totali: meccanismi della esclusione e della violenza

Erving Goffman

Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates, Doubleday, New York.


Asylums - Erving Goffman
Asylums - Erving Goffman

pagine 415

12,00 euro

1961, ed. italiana 1968

Einaudi, Torino


Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di resistenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere piú tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle istituzioni sociali in generale, e degli ospedali psichiatrici in particolare, con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell'internato". Cosí scrive Goffman in apertura di "Asylums". Egli realizza una descrizione impressionante di 'ciò che realmente succede' in un'istituzione totale, al di là delle retoriche scientifiche, terapeutiche o morali con cui chi detiene il potere nell'istituzione giustifica le degradazioni degli esseri umani che solitamente avvengono. Ciò che Goffman compie, in "Asylums", è una sorta di esercizio morale: rovesciare la pretesa che le istituzioni dettino la loro logica alle scienze sociali, far 'parlare' attraverso la rievocazione sociologica di semplici gesti la dimensione tipicamente umana della resistenza all'oppressione.

Indice

Prefazione, di Alessandro Dal Lago;
Prefazione;
Premessa;
Sulle caratteristiche delle istituzioni totali;
La carriera morale del malato mentale;
La vita sotterranea di un'istituzione pubblica;
Il modello medico e il ricovero psichiatrico;
Postfazione, di Franco e Franca Basaglia.


Recensione (ripresa da http://www.comune.bologna.it/iperbole/assminsto/Sche_2001goffman.htm)

Fabrizio Billi

  E’ da oltre trent’anni che questo libro di Erving Goffman, la cui edizione originale è del 1961, non veniva pubblicato in Italia. E’ perciò apprezzabile la scelta delle Edizioni di Comunità di ripubblicarlo, perché si tratta di un libro che non è certo un elogio eccessivo definire una pietra miliare nella storia delle scienze sociali. La ripubblicazione è meritoria anche perché, come nota Dal Lago nella prefazione, in Italia l’opera di Goffman è stata spesso molto citata ma poco conosciuta.

   Goffmanè stato il primo a parlare di “istituzioni totali”, termine che si diffonderà nel corso degli anni sessanta prima nel mondo anglosassone, poi anche in Italia, dove divenne di dominio comune grazie al lavoro di Franco Basaglia (su cui si veda P. Di Vittorio, Foucault e Basaglia. L’incontro tra genealogie e movimenti di base, Verona, Ombre corte, 1999), che per tutta la sua vita si occupò del problema di riformare in senso più umano una istituzione totale, il manicomio. L’interesse di Basaglia per l’opera di Goffman è non a caso testimoniata anche dal fatto che Franco Basaglia e la moglie Franca Ongaro Basaglia scrissero l’introduzione alla prima edizione di questo libro, introduzione che anche in questa edizione viene ripubblicata, accanto ad una nuova prefazione di Alessandro Dal Lago.

    Ma cos’è una istituzione totale? Goffman definisce con questo termine non solo le carceri ed i manicomi, ma tutta una serie di istituti quali per esempio gli ordini religiosi di clausura, anche se l’ideal-tipo delle istituzioni totali sono quelle istituzioni di tipo coattivo, dove in genere non si entra per libera scelta, come per l’appunto le carceri e gli ospedali psichiatrici. Secondo le parole dell’autore, “un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato”. Ed ancora: “Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse autorità.... Caratteristica principale delle istituzioni totali può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abitualmente separano queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito…Per ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione”.

    Goffman considera soprattutto gli ospedali psichiatrici ed il carcere, che come detto rappresentano l’ideal-tipo del mondo dell’internato.

    L’originalità del lavoro di Goffman sta innanzitutto nella sua metodologia di analisi, basata sull’osservazione attenta, quasi la partecipazione, alla vita dei soggetti osservati. Questo è, per lui, il modo migliore per verificare se le finalità delle istituzioni totali (cura, rieducazione, ecc.) vengono perseguite con efficacia o meno. Questo metodo di analisi presto avrà diffusione nelle scienze sociali dei paesi anglosassoni, e solo più tardi e più limitatamente negli altri paesi europei, ed in Italia solo con Basaglia. Goffman è stato spesso accusato di avere un metodo di analisi empirista, ma a mio parere questa critica è ingiusta. In realtà egli si contrappone alle teorie struttural-funzionaliste allora imperanti nelle scienze sociali negli Usa (mentre in Europa dominavano, con risultati per molti versi analoghi, costruzioni puramente teoriche eccessivamente distaccate dalla realtà fattuale), attraverso l’osservazione diretta, che è alla base del metodo scientifico.

    In questo modo, Goffman analizza “ciò che realmente succede” in un’istituzione totale, al di là delle retoriche scientifiche, terapeutiche o morali, scoprendo che spesso la pretesa scientificità serve soltanto a mascherare gli interessi di chi detiene il potere nelle istituzioni totali. Goffman rovescia la prospettiva: rifiutando di dare per scontate le ragioni delle istituzioni, si pone dal punto di vista degli “ospiti” di queste istituzioni, scoprendo la disumanità e la inutilità alla cura e alla riabilitazione.

    L’originalità del lavoro di Goffman sta anche nella sua innovativa considerazione dell’attore sociale, che per lui “non è un individuo esclusivamente impegnato in calcoli razionali, né un puro e semplice esecutore di precetti culturali, né una mera espressione di istanze profonde, come pretenderebbero le teorie sociali più in voga nel XX secolo, come il marxismo o la psicoanalisi (o le loro versioni caricaturali). O, meglio, è un po’ di tutto questo, e insieme molto di più: è soprattutto un virtuoso della sopravvivenza in un mondo quotidiano irto di pericoli potenziali”.

    Il libro è composto da quattro saggi, originariamente scritti separatamente. Il primo, “Sulle caratteristiche delle istituzioni totali”, è una indagine sulla vita degli internati nelle istituzioni e sui rapporti tra internati e staff. Il secondo, “La carriera morale del malato mentale”, analizza gli effetti dell’istituzionalizzazione sulla vita sociale delle persone che diventeranno internati. Il terzo, “La vita sotterranea di un’istituzione pubblica”, analizza il rapporto tra l’internato e l’istituzione ed in particolare su come l’internato cerchi di costruirsi un minimo di spazio autonomo. L’ultimo saggio, “Il modello medico e il ricovero psichiatrico”, è incentrato sul ruolo dello staff medico negli ospedali psichiatrici.

    In realtà, come del resto premesso dallo stesso Goffman nella nota introduttiva, sono inevitabili alcune ripetizioni, visto che si tratta di un libro composto armonizzando saggi autonomi. Ma le ripetizioni non inficiano certo l’interesse per questo libro, da cui emerge un pensiero molto articolato e non certo incapsulabile in una definizione semplicistica come quella che considera Goffman il “sociologo della devianza” (cfr. A. Dal Lago, La produzione della devianza. Teoria sociale e meccanismi di controllo, Ombre corte, 2000) o il capostipite dell’anti-psichiatria, definizione che condivide con Basaglia, e che è riduttiva e semplicistica per entrambi. Più esattamente, come nota Dal Lago nella prefazione, la fama di Goffman come sociologo anti-istituzionale “è alla base di una ricezione complessivamente parziale della sua produzione”. Certamente, Goffman analizza un microcosmo sociale, quello delle istituzioni totali, e per un osservatore scevro da pregiudizi quale era le conclusioni della sua osservazione non potevano non essere, in quel momento, che anti-istituzionali, ma la sua opera, come per tutti i pensatori dotati di originalità, è difficilmente inquadrabile.


Clinica, prigione, caserma: i luoghi in cui si deve lottare per restare liberi

Marco Belpoliti

La Stampa, 26 Maggio, 2001

RITORNA "ASYLUM", IL SAGGIO DI ERVING GOFFMAN SULLE "ISTITUZIONI TOTALI", SCRITTO NEL' 61, TRADOTTO NEL' 63 DA FRANCA BASAGLIA, PARALLELO ALLE RICERCHE DI FOUCAULT

Nel 1955 Erving Goffman si trasferisce nel manicomio di St. Elizabeth a Washington per studiare il comportamento di pazienti, infermieri e medici. Ci resta diciotto mesi, in incognito, prende appunti, frequenta ambulatori, corsie, stanze, aree comuni, scantinati, cucine, magazzini. S'interessa in particolare degli scambi legali e illegali tra pazienti, delle loro relazioni reciproche, delle interazioni con il personale medico e paramedico, delle cerimonie d'ingresso, orari, cibo, curiosa tra gli oggetti personali dei degenti: soprammobili, abiti, libri, mazzi di carte.

Goffman ha trent'anni; è nato in Canadà da una famiglia di ebrei ucraini, immigrati negli anni Venti; ha studiato prima chimica, poi si è interessato di cinema, infine si è laureato in sociologia prima a Toronto, poi a Chicago. Mobile, curioso, osservatore acutissimo - i compagni di corso lo hanno soprannominato "stiletto" - prima di arrivare nel manicomio St. Elizabeth, per la sua tesi di dottorato ha condotto una ricerca sul campo per due anni nell'Isola di Unst, nelle Shetland, dove si è finto uno studioso americano interessato alle tecniche agricole; in realtà, di nascosto, ha studiato la struttura sociale della comunità.

Goffman legge di tutto: sociologia, filosofia, psicologia, narrativa, trattati medici, autobiografie. Asylum, il suo secondo libro (il primo è La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino); esce nel 1961 e ha un impatto notevole non solo sugli addetti ai lavori, ma anche sul pubblico dei lettori colti americani. Il volume rende popolare una formula che condensa il senso dello studio: istituzione totale. Il concetto non è suo. Tuttavia sono la genialità e la capacità descrittiva di Goffman a renderla popolare nella cultura americana ed europea degli anni Sessanta.

Egli è probabilmente il più importante sociologo della seconda metà del XX secolo e i suoi libri si leggono con piacere proprio perché innervati da una prosa fluente, ricchissima d'esempi, capace di ridurre al minimo l'apparato concettuale, senza rinunciarci. Goffman è un occhio che guarda e osserva, ma anche un catalogatore d'eccezione.

Le istituzioni totali sono quei luoghi, quegli spazi chiusi, in cui sono segregati gli incapaci non pericolosi (ciechi, vecchi, orfani o indigenti), gli individui pericolosi per la comunità (sanatori, ospedali psichiatrici, lebbrosari), quelli altamente pericolosi o ritenuti tali (prigioni, penitenziari, campi di prigionia, lager), ma anche le istituzioni create per svolgere in un luogo concentrato alcune attività (caserme, navi, collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali) o in cui ci si isola volontariamente dal mondo (abbazie, monasteri, conventi, chiostri). Ognuna di queste realtà ha una sua precisa storia, che risale al medioevo o all'inizio dell'età moderna, come ha mostrato Foucault che su questi temi ha lavorato in contemporanea con Goffman, come ricorda Alessandro Da Lago. L'idea da cui parte lo studioso americano è che normalmente nella vita moderna gli uomini tendono a dormire, lavorare, frequentare persone, divertirsi in luoghi diversi sotto differenti autorità, seguendo schemi razionali tra loro diversi (pur essendo la stessa persona, ci si comporta in un modo in ufficio e in un altro in un bar o locale notturno). L'istituzione totale unifica invece in un medesimo luogo e sotto un'unica autorità tutte queste attività quotidiane, abolendo quella sorta di "personale economia d'azione" che noi identifichiamo con la libertà individuale.

Nella vita contemporanea quasi nessuno di noi deve continuamente guardarsi le spalle per vedere se è oggetto di critiche o di osservazioni, scrive Goffman. O almeno, esistono ambiti in cui questo controllo ha termine. La conseguenza pratica è che esiste una distanza tra il proprio ruolo e il pubblico di fronte a cui lo si recita, evitando in tal modo che affermazioni o dichiarazioni su se stessi, in una particolare sfera di attività (per esempio nella seduzione di un individuo dell'altro sesso, oppure nel gioco sportivo o d'azzardo) vengano confrontate con il comportamento in altre situazioni (il lavoro). La piccola rivoluzione compiuta dalla sociologia di Goffman, sia nell'indagine del comportamento in pubblico sia in quella di un mondo separato come l'ospedale psichiatrico, è quella di attribuire un'importanza decisiva ai rituali, alle "rappresentazioni" che forniamo agli altri o che gli altri ci offrono, piuttosto che alle motivazioni recondite o alle cause.

Lo studioso indaga le valenze psicologiche, quanto i comportamenti esteriori. Il self è il risultato di una recita, e il testo di questa recita è prodotto dalle interazioni tra gli attori. C'è nel sociologo una naturale attitudine all'osservazione etologica, che non gli impedisce di interrogarsi sulla "natura umana" per lui oggetto di indagine culturale e rituale piuttosto che morale o filosofica. Alcune pagine di questo Asylum fanno pensare a quelle Se questo è un uomo, in particolare là dove tratta del mondo dell'internato e delle prove inziatiche cui si è sottoposti in un ospedale, un convento, un campo di concentramento. Pagine analitiche, ricche di osservazioni e di informazioni sulle tecniche utilizzate per privare uomini e donne del "corredo della loro identità".

In un saggio molto ricco e articolato, Tom Burns (Erving Goffman, il Mulino) ha messo in rilievo l'importanza che ha l'idea di "gioco" nell' universo intellettuale del sociologo americano; gioco e "drammaturgia" sono i due elementi creativi e ricreativi con cui gli uomini costituiscono l'idea del proprio sé. In Asylum, libro tradotto da Franca Basaglia nel 1968 presso Einaudi, viene messo in evidenza come proprio nelle istituzioni che scarnificano fino all'osso l'esistenza umana, noi possiamo vedere con più chiarezza quello che le persone fanno per sopravvivere, le tecniche che usano "per preservare le riserve del sé dalla morsa dell'istituzione".

Sono quegli "adattamenti secondari", come li definisce il ricercatore americano, che l'individuo usa per mantenere una certa distanza, per aprirsi letteralmente a gomitate uno spazio fra sé e gli altri che tendono a identificarlo. Chiunque abbia frequentato un ospizio per anziani o un ospedale per lungo degenti, troverà nelle pagine di Goffman una descrizione esatta, spietata, lucida e a tratti persino affascinante sulla lotta che là si compie fino all'ultimo per restare liberi. La libertà, ci dice questo testo fondamentale, non è qualcosa di astratto, ma di concreto. E' solo "lottando contro qualcosa che il sé può emergere"; ma anche che senza qualcosa cui appartenere, non esiste sicurezza per il sé. Tuttavia "l'inglobamento totale e il coinvolgimento con una qualsiasi unità sociale, implica una riduzione di sé". E' un difficile equilibrio, in cui non servono grandi strategie, ma piccole tecniche con cui resistere alla pressione: "Il nostro status è reso più resistente dai solidi edifici del mondo, ma il nostro senso, d'identità personale, spesso risiede nelle loro incrinature".


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