Analisi goffmaniana del film: Arancia Meccanica di Stanley Kubrick

Andrea Priante

Università Di Padova Facoltà Di Scienze Politiche Corso Di Laurea In Scienze Sociologiche
Insegnamento Di Sociologia Della ComunicazioneProf.  La Mendola
 
INTRO

Erving Goffman ha studiato le quotidiane interazioni fra esseri umani, osservando le molte maschere sotto le quali gli individui si celano per dare a chi li circonda, o semplicemente a loro stessi, una determinata impressione. Recitano una parte, dunque, in maniera più o meno conscia, ma si tratta pur sempre di una rappresentazione, tanto da sorprendere per le analogie con le tecniche abitualmente utilizzate dal cinema. L’individuo, a seconda dei momenti, diventa regista, sceneggiatore, attore e scenografo della propria esistenza.
L’intento di un’opera cinematografica è di rappresentare la realtà; magari non la nostra, forse una passata o futura, oppure una realtà immaginaria che non prenderà mai forma, ma si tratta pur sempre di una realtà. Per questo credo che qualunque film possa prestarsi ad un’analisi goffmaniana, attraverso lo studio dei dialoghi, delle ambientazioni e, in generale, di ciascuna scena.

Clockwork Orange - Stanley Kubrick

Clockwork Orange, Stanley Kubrick, 1972

 

LA TRAMA

Un breve riassunto della storia narrata dal film potrà aiutare il lettore nella comprensione delle rappresentazioni che verranno analizzate in seguito.
La vicenda è ambientata in Inghilterra, dove bande giovanili sconvolgono la normale routine degli abitanti senza distinzione fra classi agiate e poveri barboni.
Alex è il leader di una gang di adolescenti che chiama drughi, i cui principali interessi sono lo stupro, la droga e l’ultraviolenza. Studente, figlio di operai, Alex è appassionato di musica, in particolare di Beethoven, ma dietro la facciata del bravo ragazzo nasconde un’insana passione verso tutto ciò che viene socialmente considerato deplorevole e maligno.
Lo vediamo violare, coi suoi drughi, la “home” di uno scrittore politicamente impegnato (il Sig. Alexander) e della moglie, abusare di quest’ultima e picchiare il marito fino a lasciarlo invalido.
Scontenti di alcuni suoi atteggiamenti e bramosi del ruolo di leader, il resto della gang lo tradisce dopo un omicidio.
Arrestato e condotto in carcere, Alex scopre che il governo sta sperimentando un trattamento medico (la “cura Ludovico”) con lo scopo di rimettere in libertà i detenuti che affollano le carceri. Offertosi volontario per sfuggire alla prigionia, viene trasformato in un giovane incapace di qualunque reazione o pensiero violento.
Tornato libero subisce la vendetta dello scrittore Alexander che, aiutato da politici che si oppongono al Governo in carica, lo spinge a tentare il suicidio.
Miracolosamente scampato alla morte, non accusa più gli effetti inibitori della cura Ludovico e, protetto dal Governo che lo utilizza a scopo propagandistico, è di nuovo pronto a ripercorrere le efferatezze del passato.

PREMESSA

Goffman, nei suoi saggi, prende sovente a riferimento la classe media americana. Nulla di più lontano, per certi aspetti, dai giovani protagonisti di Arancia Meccanica, apparentemente senza obblighi né aspettative, nulla che li identifichi come elementi socialmente corretti. Di fatto, credo che essi si comportino in maniera perfettamente consona alla realtà (quella delle bande giovanili) alla quale fanno riferimento.
Tralasciando i meriti di Kubrick e il debito che parte della cinematografia attuale ha nei confronti di questo film, la grandezza dell’opera sta anche nell’intento, a mio avviso perfettamente riuscito, di rappresentare in maniera realistica, una quotidianità che esce dai nostri stereotipi. Tutto nel film è atipico, a partire dagli abiti e dalle acconciature degli interpreti, senza scordare i continui richiami più o meno espliciti al sesso, eppure il complesso appare incredibilmente plausibile.

L’ANALISI

Il film si apre con il primo piano di Alex, il protagonista-narratore. Sguardo allucinato e ammaliante, egli è il fulcro della rappresentazione e tutto sembra ruotare attorno a lui. L’ambientazione, vale a dire il mobilio e gli ornamenti che costruiscono lo scenario ideale per la sua facciata, è un locale di tendenza con numerosi richiami al sesso; un’atmosfera carica di tensione e socialmente scorretta, sottolineata dalla Marcia Funebre per Queen Mary II, di Henry Purcell. La facciata personale ci propone un protagonista giovane, dal modo di parlare educato e raffinato, e dalle maniere velate di una certa altezzosità che lascia capire che sarà lui a dirigere il gioco.

<<La facciata - afferma Goffman - è quella parte della rappresentazione dell’individuo che di regola funziona in maniera fissa e generalizzata, allo scopo di definire la situazione per quanti la stanno osservando>>.

Kubrick pare aver prestato molta attenzione a questo aspetto: lo sguardo truce degli avventori e la scenografia trasudano violenza, Alex si trova al centro di un piccolo gruppo di adolescenti che vestono in maniera identica alla sua, una sorta di distintivo di rango che sottolinea allo spettatore la loro appartenenza ad un team del quale Alex è chiaramente il leader-regista. Lo spettatore può già utilizzare gli indizi suggeriti dalla carrellata iniziale per immaginare una routine coerente con l’apparenza, la maniera e l’ambientazione proposti.
Gli abiti da giocatore di cricket, uno sport che nell’immaginario collettivo rimanda a un’elite “nobile” e raffinata, contrastano con lo stereotipo del giovane drogato, rozzo e violento; lo stesso si può dire per i modi raffinati e la postura da perfetto gentleman. Un conflitto intenzionale, che però non mina la credibilità del contesto anzi, lo ridefinisce creando nello spettatore un nuovo stereotipo dello sbandato. Alex non pare aver assorbito, o almeno non del tutto, il processo di “idealizzazione” così descritto da Erving Goffman:

<<Quando l’individuo si presenta davanti a terzi, la sua rappresentazione tenderà ad incorporare ed esemplificare i valori sociali già accreditati>>.
 
A mio avviso Alex si è reso parzialmente indipendente da questo processo, o per lo meno si è omologato ad uno stereotipo diverso da quello diffuso nella nostra società.
Prima di analizzare l’equipe costituita da Alex e dai suoi drughi, è opportuno fermarsi ulteriormente sulle rappresentazioni alle quali da vita il protagonista. Lo stesso Goffman avverte che l’uomo tende ad assumere comportamenti diversi in base al pubblico. Inoltre il sociologo teorizza che gli spettatori dinanzi ai quali l’individuo si propone in un determinato modo, non debbano entrare in contatto con coloro verso i quali lo stesso ha inscenato una diversa rappresentazione di sé stesso, soprattutto se contrastante con la prima.
È il caso della doppia vita di Alex. Egli, di giorno, alla presenza dei genitori, è uno studente tranquillo e scansafatiche che si presta a piccoli lavoretti per racimolare qualche soldo; mentre la notte è il leader iperattivo di una gang di violentatori-rapinatori. A mio avviso, nel rapporto fra Alex e i suoi genitori, siamo di fronte ad una variazione del concetto classico di equipe. Se per equipe intendiamo un <<complesso di individui che collaborano per inscenare una singola routine>> (Goffman), allora il padre e la madre del protagonista, con il loro disinteresse nei confronti del figlio che ha già dimostrato (con l’internamento in un riformatorio) di non essere fedele alla rappresentazione inscenata per loro, collaborano alla messa in scena della routine di Alex. Essi non chiedono al figlio come occupi le sue nottate e non si rendono partecipi neppure delle preoccupazioni dell’assistente sociale che segue il suo caso. Al contempo non possono essere definiti una normale equipe poiché non conoscono il retroscena della rappresentazione e neppure dove finisca la finzione e inizi il “vero” Alex.
I genitori di Alex sono una sorta di pubblico sempre accondiscendente che, pur sapendo di trovarsi di fronte ad una finzione, preferisce non svelare l’imbroglio per non interrompere una routine che lo soddisfa (il quieto vivere).
La riprova sta nel fatto che, nel momento in cui la routine del bravo figliuolo viene pubblicamente smentita con l’arresto, i genitori tenteranno di ricrearla artificialmente, con la complicità di un giovane (addirittura fisicamente simile ad Alex) che si presta a vivere con loro sostituendosi ufficiosamente al figlio legittimo.

<<Quanto più la rappresentazione dell’impostore si avvicina a quella vera, tanto più ce ne sentiamo minacciati, poiché una rappresentazione recitata con competenza da qualcuno che si rivela poi un impostore può indebolire nella nostra mente il nesso morale fra autorizzazione legittima ad interpretare una parte e capacità di farlo>> (Goffman).

Si può parlare invece di classico esempio di equipe riferendosi alla gang di adolescenti (i Droogs-drughi).

L’EQUIPE DEI DRUGHI

La gang dei drughi può essere considerata, almeno inizialmente, come un’equipe omogenea, i cui membri hanno caratteristiche comuni: sono giovani, violenti e trasgressivi. I componenti della banda burgessiana hanno aspirazioni ed interessi simili, costituiscono pertanto l’equipe ideale per la loro affidabilità a mantenere viva la rappresentazione
  Al contrario dell’equipe-genitori, l’equipe-drughi conosce il retroscena e ha ben chiari i confini della rappresentazione, conseguentemente Alex, come membro dell’equipe, non può fingere dinanzi a loro.
Lo stesso Goffman avverte che <<quando studiamo una routine che, per la sua rappresentazione richiede un’equipe di diversi attori, ci accorgiamo che a volte un membro ne diventa l’astro, la guida, il centro dell’attenzione>>. Un ruolo da attore-regista, dunque, all’interno di quella messa in scena che è la vita quotidiana, e che fa di Alex il leader della gang.
Il ruolo di “direttore d’orchestra” sembra nella natura del protagonista. Mentre con il suo carisma muove i fili della rappresentazione, gli altri drughi sembrano vivere di luce riflessa, attendono le direttive e si compiacciono delle sue concessioni e apprezzamenti. Lo invidiano ma al contempo si prestano a fare da scenografia al suo astro, gli cedono il centro del “quadro” accettando di porsi in secondo piano, come una sala di cortigiani al cospetto del re.
Neppure quando si abbandonano ai loro istinti efferati, come nella dimora dei coniugi Alexander, i drughi dimenticano chi è il capo. Essi attendono che sia Alex a dare inizio alle danze per poi seguirlo nell’atto criminale. Egli, dal canto suo, mantiene invece un atteggiamento distaccato rispetto al comportamento dei suoi drughi: mentre loro mettono in atto quanto da lui pronosticato egli canta e danza con altezzoso disinteresse.
Ma ad un tratto qualcosa nel meccanismo si rompe. Alex probabilmente calca troppo la mano, sbattendo in faccia al compagno Dim, e quindi a tutta l’equipe, il suo ruolo di subalterno. Ora, agli occhi dei drughi, Alex si trasforma da leader carismatico in despota, e s’è già chi è pronto a sostituirsi a lui come regista (Georgie), ridefinendo la situazione.
Il tentativo di fare qualche concessione non serve a nulla. Il resto dell’equipe lo abbandona; oramai i loro interessi sono in conflitto e i drughi serbano un segreto strategico: il tradimento.
Dopo l’omicidio non premeditato della “Signora dei gatti”, gli ex compagni di team consegnano Alex alla polizia condannandolo al carcere e sottolineando come si fossero venute a creare due equipe contrapposte.

IL CARCERE E LA CURA LUDOVICO

Con la condanna a quattordici anni di carcere, Alex è costretto ad allestire un altro “show” per il suo nuovo pubblico. L’ambientazione ora è data dall’austero e rigido sistema carcerario, stanze spoglie e grigie, una divisa da detenuto ed un numero di matricola, il 655321, che lo identifica come membro dell’equipe-carcerati, soggiogata dall’equipe-carcerieri.
L’agente di sorveglianza è l’icona del soldato: passo marziale, perennemente sull’attenti, rigido con i sottoposti, servizievole con i superiori. Incarna perfettamente, come direbbe Goffman, i valori sociali già accreditati.
Viene a crearsi dunque un nuovo frame (inteso come elemento a partire dal quale si costruisce la definizione delle situazioni) che vede il povero Alex passare dalla leadership ad un ruolo passivo, vittima delle decisioni di altri.
Per sfuggire al carcere, Alex si sottopone volontariamente alla cura “Ludovico”, un trattamento medico che condiziona il comportamento dell’individuo rendendolo incapace di qualunque azione violenta, una repressione degli istinti malvagi indotta da un accentuato malessere fisico, provocato chimicamente, che si manifesta ogni qualvolta il paziente si accinge ad assumere comportamenti socialmente scorretti.
La cura “Ludovico” non è altro che il retroscena, cioè il luogo ove si impara la parte, la fabbrica delle illusioni all’interno della quale l’impressione voluta sulla ribalta viene negata e l’equipe si accorda.
Ecco che la violenza di Alex viene repressa da un’altra forma di violenza, più subdola e invisibile. Nessuno del pubblico può accedere al retroscena, avverte Goffman, e proprio per questo i metodi inumani della cura sono tenuti nascosti, mentre agli spettatori viene mostrato esclusivamente il risultato apparente. Sotto quest’aspetto, l’equipe politici-scienziati ottiene il successo sperato grazie alla lealtà e disciplina dei suoi componenti.
Tornato libero subisce la ritorsione del Sig. Alexander, oramai vedovo, che soddisfa il desiderio di rivalsa nei confronti del protagonista e le proprie ambizioni politiche spingendo il giovane a tentare il suicidio.
Il ruolo dello scrittore Alexander può goffmanianamente considerarsi “dell’informatore”, inteso come colui che, entrato nel retroscena del team rivale, ottiene informazioni distruttive per poi screditare lo spettacolo di fronte al pubblico.
Possiamo quindi affermare che l’equipe politici-scienziati offre involontariamente all’equipe Alexander-oppositori le premesse per la vendetta politica e personale del team che le si contrappone.
La conclusione del film vede il costituirsi di un nuova alleanza: Alex ed il Governo. Al contrario di quella nata con la cura “Ludovico”, quest’ultima equipe si regge sul consenso operativo di Alex che, oramai libero dagli effetti censuranti del trattamento medico, è pronto a riappropriarsi della propria identità violenta, ottenendo inoltre la protezione del potere politico, ed offrendosi in cambio come emblema dell’efficacia dell’operato governativo. Si crea così un double-talk, dato dall’incontro fra due individui (il garante della sicurezza e il criminale, chi fa le leggi e chi le vìola) che ufficialmente dovrebbero trovarsi in posizioni contrastanti.

LA SCENA DELLA VASCA

Lo stesso Goffman, probabilmente, avrebbe trovato interessante quella che Kubrick definì la “scena della vasca”.
Uscito di prigione, Alex viene aggredito dai drughi ed egli, incapace di difendersi, giunge ferito sino alla dimora del Sig. Alexander. Quest’ultimo non riconosce immediatamente, nella giovane vittima che ha di fronte, il criminale che due anni prima aveva invaso la sua abitazione poiché, a quel tempo, i drughi indossavano delle maschere. Protetto dall’anonimato, il protagonista viene quindi rassicurato e invitato a farsi un bagno rinfrancante.
La toilette è forse l’ambito territoriale protetto per eccellenza.
<<Il territorio è qualsiasi spazio delimitato da ostacoli alla percezione>>, scrive Goffman, ma spesso ciò che è protetto alla vista non lo è agli altri sensi. Così Alex, rincuorato dalle gentilezze dello scrittore, si rilassa nella vasca da bagno e, quasi senza accorgersene, prende a canticchiare ad alta voce la celebre canzone “Singin’ in the rain”, compiendo una gaffe che svelerà al padrone di casa la sua vera identità. Il trauma di una violenza non lo si scorda facilmente, e quel motivetto è lo stesso che Alex intonava la sera in cui picchiò e violentò la moglie dello scrittore.
La scena mette in evidenza come gli individui tendano ad abbandonare il ruolo nel quale non si riconoscono non appena si sentono al sicuro, quando cioè il pubblico non li può osservare individuando eventuali “sbavature” contrastanti con l’immagine che vorrebbero trasmettere.  

CONCLUSIONI

Ho fin qui analizzato, da una determinata prospettiva, gli avvenimenti a mio avviso più importanti del film; ma si potrebbero fare ancora molti esempi, andando a studiare scena per scena, minuto per minuto, il comportamento dei protagonisti.
La pellicola può quindi considerarsi un ottimo contenitore di teorie goffmaniane proprio perché, come sottolineato nella prefazione, i film non tentano altro che di rappresentare credibilmente una realtà, pur limitandola ai fatti salienti e, proprio per questo, essi ci offrono continui riscontri alle idee illustrate da Goffman e dalla sociologia in generale.

Riferimenti Bibliografici

1959. Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969.

1983. Erving Goffman, L'ordine dell'interazione, Armando, Roma, 1998.

1992. Randall Collins: “Teorie sociologiche”. Ed. Il Mulino (1992)