I. Il Cinema è il Cinema: una Premessa Introduttiva

Francesca Boschetti

1. Il Cinema è il Cinema
Questa è la definizione di cinema del regista francese Jean-Luc Godard, una tautologia tanto evidente e incontrovertibile quanto esatta.
In queste pagine quindi, non tratteremo il cinema come una scienza o un’arte postmoderna, né tanto meno cercheremo di leggere e interpretare il cinema in chiave psicologica o psicanalitica, nè proveremo a trasporre teorie, lessico e concetti della psicologia e della sociologia interattivo- costruttivista nei film. A ciascuno il suo. 
In queste pagine ci occuperemo solo di film, di autori e di teoriche del cinema, seguendo il loro sviluppo e spesso la loro radicale e significante evoluzione nel tempo, utilizzando i criteri, le teorie e i metodi interpretativi e di analisi propri della storia del cinema. In particolare il metodo di analisi che adotteremo sarà la filmologia, ovvero «stando strettamente all’etimo, il discorso critico sul film» 1. La filmologia, intesa come filologia applicata al testo filmico, infatti, permette di fornire elementi e dati verificabili di ciò che si descrive e si afferma. L’interpretazione e la sintesi di questi stessi dati potranno essere le più diverse fra loro, a seconda della “soggettività” dell’interprete stesso, ovvero a seconda della sua formazione e dei suoi orizzonti di attesa.
In queste pagine, allora, potrebbe emergere come le due strade, quella della psicologia interazionista e quella del cinema, possano incontrarsi e compenetrarsi vicendevolmente.
Arte complessa ed articolata, il cinema mostra e riflette come in uno specchio, la complessità dell’esistenza.

2. Perché il Cinema in questo sito?
            La tesi da dimostrare, quindi, è che il cinema, nella sua essenza ontologica, è intrinsecamente (dunque in modo inconsapevole e involontario) ma necessariamente interazionista.
L’antitesi è che «nulla è intrinsecamente qualcosa, tanto che definire qualcosa come dotato di una proprietà intrinseca esclude ogni possibilità interattiva, la stessa idea di “ontologico” è in buona parte antitetica a quella interazionista » (C. Fasola).
La sintesi, che cercheremo di trovare in queste pagine, è che il cinema, a differenza della maggior parte delle altre forme artistiche che possono essere prodotte da un singolo autore, è descrivibile come un processo di interazioni. Ogni film, infatti, ha bisogno dell’interazione dei molti, ciascuno secondo le proprie competenze, tutti necessari per passare dalla potenza dell’idea all’atto del film come conclusione di un processo creativo. Processo che si conclude definitivamente nella visione del film, ovvero nell’interazione della pellicola con lo spettatore.

Nato alla fine dell’Ottocento il cinema diventa l’arte del Novecento per eccellenza, di cui racconta, documenta e falsifica la Storia e le storie, mostrando un Uomo - ed un secolo – completamente frammentato, destrutturato, privato di una sua Identità diventata oramai molteplice secondo lo sguardo degli Altri.
Se davvero, come sosteneva W. Worringer, «ogni fase stilistica rappresenta per l’umanità che l’ha creata in base alle proprie esigenze psichiche, il fine ultimo della propria volontà» (1908, p. 135) allora non stupisce che il Novecento abbia prodotto le Avanguardie artistiche, abbia concepito la rivoluzione teatrale di Luigi Pirandello e abbia inventato il cinema 2.
Così come non stupisce che, in questi ultimi vent’anni, in cui c’è stata una riscoperta e rivalutazione delle teorie interazioniste, il cinema contemporaneo abbia sentito l’esigenza e l’urgenza di esprimersi attraverso forme e strutture nuove, quelle che caratterizzano il cosiddetto “cinema postmoderno”, che approfondiremo in alta occasione.
 
Ma che cos’è il cinema? Questa è la domanda che si poneva già nel 1958 il fondatore della rivista cinematografica “Cahiers du Cinéma” Andrè Bazin e che ancora oggi è senza risposta; «fortunatamente», aggiunge Sandro Bernardi, dal momento che «l’esperienza del cinema non può che proporsi come la tappa di una ricerca senza fine» 3.
Certi che non esista una sola risposta, ma che necessariamente culture ed epoche storiche differenti abbiano dato e continueranno a dare differenti interpretazioni e letture di uno stesso “testo”, cominceremo con il ricordare la definizione di Francesco Casetti, secondo cui il cinema è “l’occhio del Novecento”. Egli sottolinea soprattutto il carattere negoziale e dunque ossimorico del cinema, capace di riunire e conciliare frammento e totalità, soggettività e oggettività, macchina e uomo, eccitazione e ordine, immersività e distacco 4, tecnica e poesia, arte e industria, unicità e ripetizione, …
Ma in quanto “occhio del Novecento” il cinema non ha solo guardato e riprodotto la società circostante a lui coeva, ma ha contribuito a formarla, a modificarla, a condizionarla, proponendo modelli, stili e mode attraverso le sue immagini e i suoi divi, e occasioni per riflettere ed evolversi, attraverso le sue storie. Mentre mostrava come stava cambiando la società esso stesso contribuiva a cambiarla, in uno scambio reciproco di sguardi.
            «Come ci portiamo dentro la sala cinematografica  i nostri guai, così ci portiamo fuori della sala i nostri film» (Bernardi, 1994, p. 174).

Ma che cos’è il cinema? Un’altra risposta potrebbe essere questa: il cinema è tutto quello che si trova dentro lo schermo, dietro lo schermo e davanti lo schermo. Inseparabilmente.
Dentro lo schermo. Il cinema è fatto di storie, di volti e personaggi, di musiche e parole, di gesti, ambienti, immagini ed emozioni, il cinema è dunque tutto ciò che è contenuto e mostrato sullo schermo.
Dietro lo schermo. Ma il cinema è anche il modo e i mezzi con i quali sono raccontate quelle storie. Dietro lo schermo, quindi, c’è tutta la complessa “macchina del cinema”, fatta di strumenti e maestranze, impegnati ad usare un nuovo linguaggio, fatto di immagini. Dietro lo schermo, dunque, non c’è solo il set, ma ci sono la grammatica e la sintassi con cui si costruisce il racconto cinematografico: l’inquadratura, i piani e i campi, l’ ellissi e l’ anticipazione, la dissolvenza e il montaggio, la regia…
Il cinema si basa sul frammento. Sia dello spazio, sia del tempo.
 L’inquadratura, che si può intendere come l’unità minima significante del film, è delimitata da quattro bordi che necessariamente permettono di mostrare solo una porzione di realtà. «Ogni inquadratura determina un fuori campo» 5, ovvero uno spazio che quell’ immagine non contiene e non mostra, ma che potrebbe suggerire o svelare successivamente. La porzione di spazio inquadrata dipenderà sempre dal punto di vista dell’operatore, che sceglierà la posizione e la distanza della macchina da presa.
Il montaggio opera la stessa manipolazione, però sul tempo, sia nei termini della durata, sia nei termini dell’ordine logico-cronologico del racconto .
La prima fondamentale conseguenza, quindi,  è che il cinema, fin dalle sue origini, manipola la realtà. Uno dei principali assunti dell’interazionismo è che la realtà in sé non esiste, poiché essa dipende sempre dall’occhio di colui che la guarda: ebbene, il cinema mostra esattamente questo assunto, fin dalla sua nascita.
            Perfino i primi film Lumière mostrano una realtà “soggettiva”. Sebbene, infatti, il loro intento fosse quello di riprodurre sullo schermo la realtà così com’è, limitandosi a filmare ciò che accadeva davanti alla macchina da presa fissa,  anche quei primi film in verità mostravano solo una porzione di realtà, dipendente dal punto di vista dell’operatore. L’arrivo di un treno visto da davanti, piuttosto che di lato non è certo la stessa cosa…
Nel cinema, dunque, la realtà dipende sempre dall’occhio di chi la guarda, è l’essenza del cinema stesso. E vi sono almeno due livelli di sguardo. Possiamo dire che c’è (è presente) una realtà davanti all’obiettivo, che viene guardata una prima volta dall’autore attraverso l’occhio della macchina da presa (attivando uno sguardo che seleziona, interpreta, decide, condiziona), e una seconda volta viene guardata dall’occhio dello spettatore, che reinterpreta ulteriormente quell’immagine.
Questo complesso gioco di sguardi, senza il quale il cinema non potrebbe esistere (perché non potrebbe essere creato, fruito né capito) è spiegato molto chiaramente nel testo del 1938 di S. M. Ejsentstejn dedicato al montaggio:
«In realtà ogni spettatore, in conformità con la propria individualità, a modo suo, a seconda della propria esperienza, del tipo di fantasia, della trama di associazioni, in base al carattere, al temperamento e alla classe sociale cui appartiene, crea l’immagine partendo proprio da quelle rappresentazioni-guida suggeritegli dall’autore (…) si tratta quindi di un’immagine che è stata ideata e creata dall’autore, ma contemporaneamente anche di un’immagine creata dallo spettatore grazie ad un suo personale atto creativo (…)» 6.
Davanti lo schermo. Le parole di Ejsenstejn introducono l’ultimo ma imprescindibile elemento del cinema: colui che sta davanti allo schermo, cioè lo spettatore.
Come già detto il cinema è fatto di frammenti. L’immagine del cinema è dunque, necessariamente, un’immagine mancante 7. Sempre incompleta, nello spazio e nel tempo. Lo spettatore ha la fondamentale funzione di colmare quell’assenza, di ricostruire il tutto attraverso le parti. Dice S. Bernardi:
«Ejsenstejn osserva che, a partire dal film, ciascuno si forma le sue proprie immagini mentali. L’importanza dello spettatore, il suo ruolo attivo nella visione cinematografica, derivano appunto da questo fatto, che il film non produce mai un’immagine oggettiva, ma solo fornisce frammenti, “indici di direzione” nel senso di James, per la composizione di quest’immagine mentale. L’incompletezza è determinante per dare vita, forza, tensione all’opera» (S. Bernardi, 1994, p. 49)
e continua specificando che
«Quando Ejsenstejn parla di immagine cinematografica intende  la sintesi mentale, una sintesi in continuo divenire, fra ciò che abbiamo visto, ciò che stiamo vedendo e gli orizzonti di attese della nostra cultura e della nostra predisposizione» (ibidem, p. 56), ovvero
«Per obraz  (immagine cinematografica, N.d.A.) Ejsenstejn intende la sintesi mentale e visiva che si forma nella mente dello spettatore, una sintesi in continuo divenire e aggiustamento, fra ciò che abbiamo visto, ciò che stiamo per vedere, la struttura del film e le strutture mentali dello spettatore (…) Il film rivive nello spettatore a partire dal suo patrimonio intellettuale e affettivo» (ibidem, pp. 184-5).
E’ dunque evidente come quanto enunciato da Ejsenstejn sia «un concetto che deriva sia dalla psicologia della percezione di William James, sia dalla teoria della Gestalt» (ibidem, p.47).
            Dovrebbe essere oramai chiaro perché questo sito ospiti un link dedicato al cinema.

Una sola moltitudine. Tuttavia si può aggiungere un’ ulteriore riflessione per cercare di dimostrare in maniera esaustiva la tesi di apertura.
Concordando con J. Dewey, secondo cui l’opera d’arte è un oggetto che va letto, guardato, ascoltato, di cui va fatta esperienza, dal momento che solo mettendosi in rapporto (relazionandosi) con il destinatario (pubblico-spettatore) trova la sua realizzazione 8, possiamo affermare che il cinema si realizza pienamente solo nel momento in cui viene visto (vissuto, letto, interpretato) da uno spettatore. Ma sebbene la sala cinematografica contenga una moltitudine di spettatori, essi si relazioneranno col film in maniera individuale, secondo la propria cultura, sensibilità, interessi, atteggiamento, stato emotivo, periodo storico e sociale.
In Buio in sala G. P. Brunetta osserva:
«Lo spettatore in sala si fonde con gli altri, ma senza venire meno a se stesso; la storia dell’ homocinematographichus s’iscrive sullo schermo e si incrocia con quelle dei personaggi di celluloide, ma accade anche il contrario, che le figure dello schermo si trasformino e rivivano ogni volta vite diverse, a seconda dei tempi che passano e delle cose che accadono fuori della sala cinematografica (…). La storia del cinema non può essere staccata da una storia della ricezione, e una storia della ricezione è parte della storia della cultura e della vita sociale» 9.
Anche il film, quindi, nella sua interazione con il pubblico si deve intendere come uno, nessuno, centomila…

3. Percorsi dentro, dietro e davanti lo schermo
Percorsi dentro lo schermo ovvero sul racconto cinematografico.
Sicuramente alcuni sentieri ci porteranno ad analizzare film, la cui storia racconta e affronta, mostra e disvela, mette in scena e fa riflettere sui principali temi dell’Uomo postmoderno: la frammentazione dell’identità che si rispecchia nell’alienazione, nel doppio o nel molteplice, nel sosia, nello scambio di personalità, nella falsificazione volontaria o involontaria del proprio Io, nella fragilità e falsificabilità della Memoria che si scontra con la necessità di avere un passato, nell’essenza effimera o falsa della realtà circostante… spaziando dal cinema muto al cinema contemporaneo, dal cinema di cassetta al cinema d’autore.
Una sezione a parte sarà dedicata al cinema di fantascienza, specialmente attento, sensibile e preveggente nei confronti dei grandi temi e problemi della società  trasportati in un futuro più o meno lontano, ma sempre terribilmente identico all’epoca a lui contemporanea.
Altrettanto interessante sarà occuparsi dei “film storici”, di quei film cioè che raccontano e mettono in mostra il passato, per osservare come «in un film storico siano presenti almeno due strati di  passato: quello che il film racconta e quello in cui il film è stato realizzato» 10 come osserva Guido Fink, che sottolinea il modo in cui: «il film storico ci faccia compiere un “duplice viaggio nel passato” poiché, attraverso la rappresentazione di un’epoca più o meno lontana, noi abbiamo davanti soprattutto le tracce ideologiche, culturali, del periodo in cui è stato realizzato il film. Il film ci parla di sé, del suo tempo, non meno, anzi forse più che del passato che finge di trattare» 11.
Dello stesso parere pure Pierre Sorlin, il quale afferma che «con il pretesto del passato il film storico riorganizza sostanzialmente il presente. Ne consegue che i film sono, assai più che analisi e ricostruzioni dei periodi storici che trattano, ottimi strumenti per studiare l’epoca in cui sono stati fatti, il modo in cui essa si rappresenta il proprio passato e quindi anche se stessa» 12.
Un altro percorso, infine, non dissimile dai precedenti, che anzi ne conferma le tesi, sarà dedicato ai remakes, allo scopo di verificare come una stessa storia possa essere raccontata in modi differenti, a seconda del periodo (e dunque del contesto storico, sociale, estetico, culturale, politico ed economico) in cui viene realizzata e fruita.
             
Percorsi dietro lo schermo ovvero il cinema sul cinema
In questa parte del nostro sentiero affronteremo quei film che esplicitamente parlano di se stessi, del loro linguaggio e della loro essenza; quei film che ruotano la macchina da presa per riprendere l’occhio di colui che la stava usando, come Federico Fellini nel prefinale di “E la nave va” (1983) e come tutto il suo cinema,  sempre attento a mostrare ciò che sta dietro il film, a svelare i trucchi aumentandone la fascinazione; tutti quei film che, come sosteneva Pier Paolo Pasolini a proposito del cinema di Godard, contribuiscono: «a creare il cinema come linguaggio che ha come oggetto se stesso = metalinguaggio» 13

Percorsi davanti lo schermo ovvero sullo spettatore necessario 
In questo tratto di cammino, invece, guarderemo quei film che insistono sull’immagine assente, sulla frammentazione del tempo, sulla destrutturazione del racconto. Quei film che non potrebbero esistere senza l’interazione dello spettatore, senza la sua assoluta partecipazione al film, senza il suo totale coinvolgimento per ricostruire il tutto attraverso le parti, in genere frammenti, brandelli indiziari sparsi nel film senza alcun ordine logico o cronologico lineare. Quei film, insomma, che caratterizzano pienamente il cinema contemporaneo.

4. Sul Metodo ovvero il Film come Testo e non Pretesto
In un sito dedicato alle teorie interattivo-costruttiviste, che si batte contro «la volontà di racchiudere le possibilità umane in un prontuario psicopatologico o in un raffinato sistema nosografico (poiché ciò)  non appartiene agli orizzonti in cui una psicologia della comprensione deve tendere» 14, non è pensabile l’esistenza di un solo, unico metodo corretto. Tanto più se ci si avventura in un mondo tanto complesso e articolato come il cinema.
Come afferma S. Benardi «Lo spazio del testo (del film come testo, N.d.A.) è propriamente lo spazio dell’ambiguità, della molteplicità o, meglio, della possibilità» 15.
Tuttavia, egli per primo denuncia i possibili rischi di un tale atteggiamento:
«C’è il grande rischio di precipitare nella deriva del senso, nell’erranza del significato, nell’infinito delle letture possibili, ciascuna delle quali è intrinsecamente valida, in quanto esplicitazione di un metodo, di un sistema e di un punto di vista» 16.
Tanto più se ci si avventura in un mondo tanto facilmente fruibile e accessibile come il cinema. Tutti vedono film. Tutti ne parlano. Tutti usano i film (o parti di essi) per parlare di qualcosa d’altro.
In queste pagine noi cercheremo invece di trattare i film come testi e non “pretesti”.
Di uno stesso film si possono dare infinite interpretazioni e infinite letture, vi si possono scoprire infiniti mondi che, come abbiamo già osservato, cambieranno e sono cambiati a seconda delle condizioni storiche, sociali, ambientali, economiche, psicologiche, culturali dello spettatore, del periodo e del contesto in cui quel film è stato o sarà visto. Anche il genere di appartenenza dello spettatore influisce sulla lettura di un film, come vorrebbero dimostrare, per esempio, i Gender Studies 17.
Tuttavia vi è un limite che non può mai essere superato, vi è una regola che non deve mai essere dimenticata ogni volta che si vuol parlare di un film, ed è il film stesso.
Il film come testo deve essere l’inizio e la fine di ogni riflessione, interpretazione e analisi. Il film come testo deve essere il costante punto di riferimento, attraverso continue citazioni puntuali e verificabili di esso; cosa facilmente possibile dal momento che il film, esattamente come il testo letterario «è fissato, stabile, definitivo e immodificabile teoricamente für ewig» 18.
Affinché una qualsiasi riflessione sul film o a partire dal film abbia valore (scientifico), deve essere dimostrabile, dunque deve fare sempre riferimenti precisi, e  pertanto verificabili,  al film stesso. Quindi ci si deve avvicinare al testo filmico con la stessa cura con cui la filologia si avvicina al testo letterario. A questo proposito Lino Miccichè precisa che la « filologia cinematografica (…) significherà, nei confronti del testo filmico, l’ emarginazione delle fantasie extratestuali» 19.
E questa, in sintesi, è la “fil(m)ologia”, ovvero il metodo che cercheremo di utilizzare.

5. Bibliografia e Sitografia citata
Il testo di riferimento di questo saggio è:
S. Bernardi , Introduzione alla retorica del cinema, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1994.

Argan G.C., 1970, L’arte moderna, Sansoni, Firenze, 1988.
Benjamin W., 1955, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000.
Bernardi S., Il paesaggio nel cinema italiano, Marsilio Editori, Venezia, 2002.
Bertetto P. (a cura di), Metodologie di analisi dei film, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006.
Borin F., Il fuori campo, in F. Borin e R. Ellero, (a cura di), L’inquadratura cinematografica, Quaderno n. 50, Circuito Cinema del Comune di Venezia, 1994.
Boschetti F., Identità e cinema: come l’arte racconta la psicologia, in C. Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005, pp. 235-255.
Boschetti F., L’antiestetica del paesaggio in Lars von Trier. Riflessione sul cinema e rinascita della tragedia, in AAM  -  TAC Arts and Artifacts in Movie - Technology, Aesthetics, Communication, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 2006.
Brunetta G.P., Buio in sala, Venezia, Marsilio, 1989.
Casetti F., L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, R.C.S. Libri S.p.A., Milano, 2005.
De Micheli M., 1959, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1982.
Ejsenstejn S.M., Montaggio1938, in Teoria generale del montaggio , a cura di P. Montani, Marsilio, Venezia, 1985.
Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005.
Godard J.L., Il cinema è il cinema, Garzanti Editore, Milano, 1981.
Micchichè L., Filmologia e filologia. Studi sul cinema italiano, Marsilio editori, Venezia, 2002
Worringer W., 1908, Astrazione e empatia, Einaudi, Torino, 1975. 
Zanette C.Fasola C., La frammentazione dell’identità nel romanzo novecentesco, in C. Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005, pp. 256-278.

Febbraio 2007

1 In L. Miccichè, Filmologia e filologia. Studi sul cinema italiano, Marsilio, Venezia, 2002, p. 21

2 Per un ulteriore approfondimento si consigliano W. Worringer, 1908, Astrazione e empatia, Einaudi, Torino, 1975,  W. Benjamin, 1955, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000,  M. De Micheli, 1959, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1982, G.C. Argan, 1970, L’arte moderna, Sansoni, Firenze, 1988,  F. Boschetti, Identità e cinema: come l’arte racconta la psicologia, in C. Fasola, L’Identità. L’altro come coscienza di sé, Utet, Torino, 2005, pp. 235-255, C. Zanette e C. Fasola, La frammentazione dell’identità nel romanzo novecentesco, in C. Fasola, L’Identità… cit., pp. 256-278.

3 In S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1994, p. 87.  Sandro Bernardi, professore di Storia e critica del cinema presso l’Università di Firenze sarà l’autore-guida di questo saggio, poiché è uno dei massimi sostenitori e teorizzatori della centralità dello spettatore nel film, in quanto interprete del film stesso. «E’ dello spettatore che il film parla a noi, spettatori» (ibidem, p. 199). Questo libro sarà il testo di riferimento di questo saggio.

4 Cfr. F. Casetti, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, R.C.S. Libri S.p.A., Milano, 2005.

5 F. Borin, Il fuori campo, in F. Borin e R. Ellero, (a cura di), L’inquadratura cinematografica, Quaderno n. 50, Circuito Cinema del Comune di Venezia, 1994.

6 S. M. Ejsenstejn citato in  S. Bernardi, Introduzione…cit., p. 185

7 Cfr  S. Bernardi Il paesaggio nel cinema italiano, Marsilio Editori, Venezia, 2002 e F. Boschetti, L’antiestetica del paesaggio in Lars von Trier. Riflessione sul cinema e rinascita della tragedia, in  AAM -  TAC Arts and Artifacts in Movie - Technology, Aesthetics, Communication, n. 3, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 2006.

8 Il concetto è riportato in S. Bernardi, Introduzione… cit., p. 174.

9 G. P. Brunetta, Buio in sala, Venezia, Marsilio, 1989, p. XV.

10 Citato in S. Bernardi, Introduzione… cit, p. 101.

11 Citato in S. Bernardi, Introduzione… cit., p.100.

12 Citato in S. Bernardi, Introduzione… cit., p. 101.

13 P.P. Pasolini, Presentazione, p. 14, in J.L. Godard, Il cinema è il cinema, Garzanti Editore, Milano, 1981.

14 C. Fasola, Identità di Genere e Orientamento Sessuale. Uno Sguardo fra Paura e Desiderio, © Scienze postmoderne, 2007.

15 In S. Bernardi, Introduzione…cit. , p. 47.

16 In S. Bernardi, Introduzione… cit., p. 177.

17 Per un ulteriore approfondimento si rinvia a P. Bertetto (a cura di), Metodologie di analisi dei film, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006.

18 In L. Miccichè, Filmologia… cit., p. 11.

19 In L. Micchichè, Filmologia… cit., p.16.