Al di là del bene e del male

Friedrich Nietzsche

CAPITOLO TERZO.
L'ESSERE RELIGIOSO.

45. L'anima umana e i suoi confini, l'estensione in generale fino
a oggi raggiunta delle umane intime esperienze, le altitudini, le
profondità e le distanze di queste esperienze, l'intera storia,
"sinora" vissuta, dell'anima e le sue non ancora fino in fondo
esaurite possibilità: tutto ciò è la predestinata zona di caccia
per uno psicologo nato e un amico della 'caccia grossa'. Tuttavia,
quanto spesso deve rivolgere a se stesso le disperate parole: 'Uno
solo! ah, uno solo e basta! e questa gran selva, questa selva
primordiale!' E così si augura qualche centinaio di aiutanti e di
segugi finemente ammaestrati da poter lanciare avanti nella storia
dell'anima umana, per fare in essa la "sua" battuta. Invano:
sempre torna a sperimentare, profondamente e amaramente, quanto
sono difficili a trovarsi aiutanti e cani per tutte quelle cose
che eccitano appunto la sua curiosità. L'inconveniente cui si va
incontro coll'inviare gli addottrinati in nuove e pericolose zone
di caccia, in cui sono necessari coraggio, sagacia, scaltrezza in
ogni senso, sta nel fatto che proprio là essi diventano ormai
inservibili, allorch‚ ha inizio la 'caccia "grossa"', e con essa
anche il grande pericolo - proprio laggiù essi perdono i loro
occhi e il loro fiuto di segugi. Se si volesse, per esempio,
decifrare e mettere in chiaro che genere di storia sino a oggi ha
avuto il problema della "scienza" e della "coscienza" nell'anima
degli "homines religiosi", bisognerebbe forse essere noi stessi
tanto profondi, piagati e immensi, come lo era la coscienza
intellettuale di Pascal - e occorrerebbe sempre, allora, anche
quell'aperto cielo di chiara, maliziosa spiritualità che riesce ad
abbracciare dall'alto in basso, a ordinare, a costringere in
formole questo brulichio di esperienze vive, pericolose e
dolorose. - Ma chi potrebbe mai rendermi questo servigio! Chi
avrebbe tempo di attendere simili servitori! - Evidentemente essi
crescono troppo di rado, sono così inverosimili in ogni tempo!
Alla fine si deve fare ogni cosa da s‚, per sapere da s‚ qualcosa:
cioè si ha sempre "molto" da fare! - Ma una curiosità della mia
specie resta pur sempre il più gradevole di tutti i vizi -
scusatemi! volevo dire: l'amore per la verità ha la sua ricompensa
nel cielo e anche già sulla terra.

46. La fede, come la esige e non di rado l'ha ottenuta il primo
cristianesimo, in mezzo a un mondo scettico e incredulo alla
maniera meridionale, il quale aveva dietro e dentro di s‚ una
lotta secolare di scuole filosofiche, compresa l'educazione alla
tolleranza impartita dall'"imperium Romanum" - questa fede "non"
era quella fede, rozza e arcigna, da gente sottomessa, con cui,
per esempio, un Lutero o un Cromwell o qualsiasi altro nordico
barbaro dello spirito stanno attaccati a Dio e al cristianesimo;
era piuttosto già quella fede di Pascal che assomiglia
tremendamente a un continuo suicidio della ragione - di una
ragione tenace, longeva, vermiforme, che non si lascia uccidere in
una volta sola e con un sol colpo. La fede cristiana è fin da
principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni
orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso
asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione. C'è della
crudeltà e un atteggiamento religioso fenicio in questa fede che è
richiesta da una coscienza infrollita, multiforme e dai molti
vizi: il suo presupposto è che la sottomissione "provoca un
dolore" indescrivibile, che l'intero passato e tutte quante le
consuetudini di un tale spirito recalcitrano a questo
"absurdissimum", sotto la forma del quale la 'fede' gli si
approssima. Gli uomini moderni, con la loro ottusità per ogni
nomenclatura cristiana, non sono più allo stesso modo sensibili
all'aspetto tremendamente eccelso, che per un gusto antico
risiedeva nella paradossalità della formola 'Dio in croce'. Non
era ancora mai e in nessun luogo esistito un simile ardire nel
rovesciamento, nulla di così terribile, di così interrogativo e
problematico come questa formola: essa prometteva una valutazione
rovesciata di tutti gli antichi valori. - E' l'Oriente, il
profondo Oriente, è lo schiavo orientale che in questo modo si
vendica di Roma e della sua nobile e frivola tolleranza, del
'cattolicismo' romano della fede - e fu sempre non già la fede, ma
la libertà della fede, quella semistoica e sorridente noncuranza
per la serietà della fede a suscitare negli schiavi lo sdegno
verso i loro padroni, la rivolta contro i loro padroni.
L''illuminismo' suscita la rivolta: lo schiavo, infatti, vuole
l'incondizionato, comprende solo il tirannico, anche nella morale,
ama, così come odia, senza sfumature, sino all'imo, sino al
dolore, sino alla malattia; - la sua molta sofferenza nascosta si
leva contro il nobile gusto, che sembra "negare" la sofferenza. Lo
scetticismo di fronte al dolore, che in fondo non è se non un
atteggiamento della morale aristocratica, ha contribuito non poco
alla nascita dell'ultima grande rivolta degli schiavi, il cui
inizio risale alla rivoluzione francese.

47. Ovunque fino a oggi si è presentata sulla terra la nevrosi
religiosa, la troviamo collegata a tre pericolose prescrizioni
dietetiche: solitudine, digiuno e astinenza sessuale - senza
tuttavia che si possa stabilire qui, con sicurezza, quale sia la
sua causa, quale l'effetto e "se" qui risulti in generale un
rapporto di causa ed effetto. Giustifica quest'ultimo dubbio il
fatto che tra i sintomi più normali della nevrosi, sia tra i
popoli selvaggi che tra quelli civili, è compresa anche la più
repentina e sfrenata lascivia, la quale poi, altrettanto
all'improvviso, si capovolge in uno spasimo d'espiazione e in un
annientamento del mondo e della volontà: sono forse queste due
cose spiegabili come epilessia mascherata? Ma in nessun altro caso
più che in questo occorrerebbe liberarsi dalle spiegazioni:
attorno a nessun altro fenomeno tipico è proliferata una tale
congerie di assurdità e di superstizioni, nessun altro fino ad
oggi sembra aver interessato di più gli uomini e persino i
filosofi - sarebbe quindi il momento di acquistare, appunto a
questo proposito, un po' di freddezza, di imparare la cautela,
meglio ancora: di guardare altrove, di "andarsene altrove". -
Anche sullo sfondo della filosofia più recente, quella
schopenhaueriana, sta, quasi come il problema in s‚, questo
lugubre interrogativo della crisi e del risveglio religioso. Come
è "possibile" una negazione della volontà? come è possibile il
santo? - In realtà sembra essere stato questo il problema con cui
Schopenhauer divenne filosofo e prese le mosse. E fu un'autentica
conseguenza schopenhaueriana che il più convinto seguace di questi
(e forse anche l'ultimo, per quanto riguarda la Germania...),
Richard Wagner, dètte, proprio in questo modo, compimento
all'opera di tutta la sua vita e finì col presentarci sulla scena
anche quel tipo tremendo ed eterno nelle sembianze di Kundry,
"type v‚cu", in carne ed ossa; in quell'epoca in cui gli
psichiatri di quasi tutti i paesi europei avevano l'occasione di
studiarlo da vicino ovunque la nevrosi religiosa - oppure, come la
chiamo io 'l'essere religioso' - ha avuto la sua ultima, epidemica
esplosione e parata, come 'esercito della salvezza'. Ma se ci si
domanda che cosa propriamente di tutto quanto il fenomeno del
santo sia stato così assolutamente interessante per gli uomini di
ogni tipo e di ogni tempo, compresi i filosofi, è, senza alcun
dubbio, la parvenza del miracolo che gli resta attaccata, quella
cioè dell'immediata "successione di opposti", di stati dell'anima
valutati come moralmente antitetici: si riteneva a questo punto di
toccare con mano la possibilità che all'improvviso un 'uomo
cattivo' si trasformasse in 'santo', in uomo buono. Sino a oggi la
psicologia ha fatto, a questo punto, naufragio: e non dovrebbe
forse essere accaduto tutto questo per la precipua ragione che
essa si era posta sotto il dominio della morale e "credeva" essa
stessa nei contrasti morali di valore, e scorgeva, leggeva,
"interpretava" questi contrasti inserendoli nel testo e nella
fattispecie? - Che cosa? Sarebbe il 'miracolo' soltanto un errore
d'interpretazione? Un difetto di filologia?

48. Si direbbe che alle razze latine inerisca il cattolicesimo in
maniera molto più intima di quanto non accada per l'intero
cristianesimo in generale a noi gente del nord; e che di
conseguenza l'incredulità nei paesi cattolici debba significare
qualcosa di molto diverso da quello che essa significa nei paesi
protestanti, cioè una specie di rivolta contro lo spirito della
razza, mentre, da noi, è piuttosto un ritorno allo spirito (o al
non spirito) della razza. Indubbiamente noi, gente del nord,
proveniamo da razze barbare, anche per quanto riguarda la nostra
disposizione alla religione: per questa noi siamo "mal" dotati. Si
possono eccettuare i Celti, i quali, per questa ragione, hanno
fornito il miglior terreno Perchè si contraesse, nel nord,
l'infezione cristiana - fu in Francia che l'ideale cristiano, nei
limiti in cui il pallido sole del nord lo ha permesso, giunse a
fioritura. In che strana maniera sono devoti, per il nostro gusto,
perfino questi ultimi scettici francesi, essendoci un po' di
sangue celtico nella loro origine! Che olezzo cattolico,
antitedesco, ha per noi la sociologia di Auguste Comte, con la sua
logica romana degli istinti! Come odora di gesuita quell'amabile e
saggio cicerone di Port-Royal, Sainte-Beuve, a onta di tutta la
sua inimicizia per i gesuiti! E perfino Ernest Renan: che
inaccessibile risonanza per noi, gente del nord, ha il linguaggio
di un siffatto Renan, in cui basta un niente di tensione religiosa
per far perdere, ad ogni momento, l'equilibrio alla sua anima, in
un senso più sottile voluttuosa e amante della vita comoda!
Basterebbe ripetere una volta queste sue belle frasi e subito, per
tutta risposta, quale mai malizia e tracotanza si agiterebbe nella
nostra anima, probabilmente meno bella e più dura, cioè più
tedesca! - 'disons donc hardiment que la religion est un produit
de l'homme normal, que l'homme est le plus dans le vrai quand il
est le plus religieux et le plus assur‚ d'une destin‚e infinie...
C'est quand il est bon qu'il veut que la vertu corresponde à un
ordre ‚ternel, c'est quand il contemple les choses d'une manière
d‚sint‚ress‚e qu'il trouve la mort r‚voltante et absurde. Comment
ne pas supposer que c'est dans ces moments là, que l'homme voit le
mieux?...'. Queste frasi sono così "agli antipodi" delle mie
orecchie e delle mie abitudini, che quando mi capitarono sotto gli
occhi, il mio primo moto di collera vi scrisse accanto 'la
niaiserie religieuse par excellence!' - mentre l'ultimo moto di
collera arrivò al punto di trovarle perfino amabili, queste frasi,
con la loro verità rovesciata! E' così piacevole, così
caratterizzante, avere i propri antipodi!

49. Ciò che nella religiosità degli antichi Greci fa stupire, è la
smisurata pienezza di gratitudine che da essa prorompe - è una
nobilissima specie di uomo quella che si pone in "questo modo"
dinanzi alla natura ed alla vita! - più tardi, quando in Grecia la
plebe divenne preponderante, la "paura" allignò a dismisura anche
nella religione; si andava preparando il cristianesimo.

50. La passione per Dio: esistono modi contadineschi, schietti e
invadenti, come quelli di Lutero - l'intero protestantesimo è
privo della "delicatezza" (16) meridionale. Esiste un trasporto
fuori di se stessi alla maniera orientale, come in uno schiavo
graziato o innalzato senza suo merito, per esempio in Agostino,
che in una maniera offensiva manca di ogni nobiltà d'atteggiamenti
e di desideri. Esiste una tenerezza e avidità tutta femminile, che
urge vergognosa e inconsapevole verso una "unio mystica et
physica": come in Madame de Guyon. In molti casi tale passione si
manifesta cosa assai curiosa, come un travestimento della pubertà
di una ragazza o di un giovinetto; talora perfino come l'isterismo
di una vecchia zitella e anche come la sua ambizione ultima - già
parecchie volte, in simili casi, la Chiesa ha canonizzato la
donna.

51. Fino a oggi gli uomini più potenti si sono sempre inchinati,
in atteggiamento venerante, di fronte al santo come di fronte
all'enigma del soggiogamento di se stessi e dell'ultima deliberata
rinuncia: per quale ragione si inchinarono? Presentivano in lui -
per così dire, dietro l'interrogativo del suo aspetto fragile e
miserevole - la forza superiore che voleva cimentarsi in un tale
soggiogamento, il vigore della volontà in cui essi riconoscevano
ed erano consapevoli di onorare il proprio vigore e il proprio
piacere di dominio: essi onoravano qualcosa di se stessi, quando
onoravano il santo. Vi si aggiunse il fatto che la vista del santo
metteva loro addosso un sospetto: una tale mostruosa negazione e
mostruosa contronatura non sarà stata tramata inutilmente, così
dicevano e si domandavano. Tutto ciò ha forse una sua ragione, un
pericolo grandissimo che l'asceta vorrebbe conoscere più da
vicino, grazie ai suoi consolatori e visitatori segreti? Insomma,
i potenti della terra appresero dinanzi a lui un nuovo timore,
presentirono una nuova potenza, un nemico ignoto ancora non
soggiogato - era la 'volontà di potenza' che li costringeva ad
arrestarsi dinanzi al santo. Essi non potevano fare a meno di
interrogarlo...

52. Nell''Antico Testamento' ebraico, il libro della giustizia
divina, uomini, cose e discorsi sono tratteggiati in uno stile
così grandioso, che i testi greci e indiani non hanno nulla da
porgli accanto. Ci arrestiamo sgomenti e riverenti dinanzi a
queste smisurate reliquie di quel che una volta fu l'uomo, e si
andrà meditando tristemente sull'antica Asia e sull'Europa, la sua
penisoletta avanzata, che vorrebbe rappresentare a tutti i costi,
rispetto all'Asia, il 'progresso degli uomini'. Certamente chi è
per se stesso solo un delicato mansuefatto animale domestico e
conosce soltanto bisogni da animale domestico (come i nostri
uomini còlti di oggi, compresi i cristiani del cristianesimo
'còlto'...), non può stupirsi e neppure turbarsi ai piedi di
quelle rovine - il gusto del Vecchio Testamento è una pietra di
paragone riguardo al 'grande' e al 'piccolo' -: forse continuerà
sempre a essergli più accetto il Nuovo Testamento, il Libro della
grazia (c'è molto, in esso, del caratteristico odore dolciastro e
stantio proprio dei baciapile e delle anime grette). Avere
incollato insieme in "un sol" libro questo Nuovo Testamento, una
specie di rococò del gusto sotto tutti gli aspetti, con il Vecchio
Testamento, facendone la 'Bibbia', il 'Libro in s‚': questa è
stata forse la più grande temerarietà ed il più grande 'peccato
contro lo spirito' che l'Europa letteraria abbia sulla coscienza.

53. Perchè l'ateismo, oggi? - 'Il padre', in Dio, è radicalmente
confutato; così pure 'il giudice', 'il rimuneratore'. Similmente
il suo 'libero arbitrio': egli non ode - e se anche udisse, non
saprebbe dare aiuto. Il peggio è che egli sembra incapace di
comunicare in maniera chiara: è forse oscuro? - Questo è ciò che
io sono riuscito a scoprire tra le cause della decadenza del
teismo europeo, valendomi di ogni genere di colloquio,
interrogando, tendendo l'orecchio; mi sembra che l'istinto
religioso sia per la verità in pieno rigoglio - ma che esso
rifiuti, con profonda diffidenza, proprio l'appagamento teistico.

54. Ma che cosa fa, in fondo, l'intera filosofia moderna? Da
Cartesio in poi - e, per la verità, più per dispetto contro di lui
che sulla base del suo esempio - da parte di tutti i filosofi,
sotto l'apparenza di una critica al concetto di soggetto e di
predicato, si perpetra un attentato contro l'antico concetto di
anima, - vale a dire: un attentato al presupposto fondamentale
della dottrina cristiana. In quanto scepsi gnoseologica, la
filosofia moderna è, occultamente o apertamente, "anticristiana":
sebbene, sia detto per orecchie più delicate, non sia in alcun
modo antireligiosa. Una volta, infatti, si credeva all''anima',
come si credeva alla grammatica e al soggetto grammaticale: si
diceva, 'io' è condizione, 'penso' è predicato e condizionato - il
pensare è un'attività per la quale un soggetto "deve" essere
pensato come causa. Si cercò allora, con un'ostinazione e
un'astuzia mirabili, se non fosse possibile districarsi da questa
rete, ci si domandò se non fosse vero caso mai il contrario:
'penso' condizione, 'io' condizionato; 'io' dunque soltanto una
sintesi che viene "fatta" dal pensiero stesso. "Kant" voleva
dimostrare, in fondo, che partendo dal soggetto, il soggetto non
può essere dimostrato - e neppure l'oggetto: pare non gli sia
stata sempre ignota la possibilità di una "esistenza apparente"
del soggetto, quindi dell''anima', quel pensiero cioè, che come
filosofia del Vedanta già una volta e con un immenso potere è
esistito sulla terra.

55. Esiste una grande scala, con molti piuoli, della crudeltà
religiosa; ma tre di essi sono i più importanti. Un tempo si
sacrificava al proprio Dio esseri umani, forse proprio quelli che
si amava di più - a questo caso appartengono i sacrifici dei primi
nati, caratteristici di tutte le religioni preistoriche, e anche
il sacrificio dell'imperatore Tiberio nella grotta di Mitra
sull'isola di Capri, il più orribile di tutti gli anacronismi
romani. In seguito, nell'epoca morale dell'umanità, si sacrificò
al proprio Dio gli istinti più forti che si possedeva, la propria
'natura'; è "questa" gioia di festa a lampeggiare nell'occhio
crudele dell'asceta, dell'uomo fanaticamente 'contronatura'. E
infine, che cosa restava ancora da sacrificare? Non si doveva
finalmente sacrificare una buona volta tutto ciò che v'è di
confortante, di sacro, di risanante, ogni speranza, ogni fede in
una occulta armonia, in beatitudini e giustizie di là da venire?
Non si doveva sacrificare Dio stesso e, per crudeltà contro se
stessi, adorare la pietra, la stupidità, la pesantezza, il
destino, il nulla? Sacrificare Dio per il nulla - questo
paradossale mistero dell'estrema crudeltà fu riservato alla
generazione che proprio ora sta sorgendo: noi tutti ne sappiamo
già qualcosa. -

56. Chi, come me, si è sforzato a lungo, in una specie di
enigmatica bramosia, di pensare sino in fondo il pessimismo e di
liberarlo dalla ristrettezza e dall'ingenuità, metà cristiana e
metà tedesca, con cui esso si è recentemente presentato a questo
secolo, vale a dire nella forma della filosofia schopenhaueriana;
chi realmente, con un occhio asiatico e oltreasiatico, ha scrutato
una volta ben addentro e a fondo in questo modo di pensare che è
quello, tra tutti i modi possibili, più annientante riguardo al
mondo - al di là del bene e del male, e non più, come Buddha e
Schopenhauer, sotto l'illusorio incantesimo della morale -, costui
ha forse, senza propriamente volerlo, aperto proprio con ciò gli
occhi sull'ideale opposto: l'ideale dell'uomo più tracotante, più
pieno di vita e più affermatore del mondo, il quale non soltanto
ha imparato a rassegnarsi e a sopportare ciò che è stato e che è,
ma vuole riavere, per tutta l'eternità, tutto questo "così come
esso è stato ed è", gridando insaziabilmente: "da capo" non
soltanto a se stesso, ma all'intero dramma e spettacolo, e non
soltanto a uno spettacolo, ma fondamentalmente a colui che proprio
di questo spettacolo ha bisogno e lo rende necessario: poiché‚
egli ha sempre di nuovo bisogno di se stesso - e si rende
necessario - - Come? E non sarebbe questo - "circulus vitiosus
deus"?

57. Con la forza del suo sguardo spirituale e della sua
penetrazione visiva cresce la distanza e per così dire lo spazio
intorno all'uomo: il suo mondo diventa più profondo e diventano
visibili sempre nuove stelle, sempre nuovi enigmi e immagini.
Forse tutto ciò su cui l'occhio dello spirito ha esercitato il suo
acume e la sua perspicacia era soltanto un'occasione per il suo
esercizio, un oggetto di giuoco, qualcosa per fanciulli e per
anime di fanciulli. Un giorno, forse, i concetti più solenni, per
i quali si è in particolar modo combattuto e sofferto, i concetti
di 'Dio' e di 'peccato', non ci appariranno più importanti di
quanto lo sia un giocattolo infantile e un infantile dolore per
l'uomo avanzato in età - e forse allora 'l'uomo vecchio' sentirà
il bisogno ancora di un altro giocattolo e di un altro dolore,
sempre ancora abbastanza fanciullo, un eterno fanciullo!

58. Si è mai osservato come per una vita propriamente religiosa (e
tanto per il suo prediletto lavoro di autosservazione al
microscopio, quanto per quella dolce imperturbabilità che si
chiama 'preghiera' e che rappresenta un costante disporsi
all''avvento di Dio' ) sia necessario l'ozio esteriore ovvero una
condizione semioziosa, voglio dire quell'ozio con tranquilla
coscienza, dalle origini immemorabili e connaturato al
temperamento, al quale non è del tutto estraneo il senso
aristocratico che il lavoro "rechi disonore" - vale a dire
involgarisca l'anima e il corpo? E che, conseguentemente,
l'operosità moderna, rumorosa, che impiega bene il suo tempo,
fiera di s‚, stupidamente fiera di s‚, educhi e prepari, più di
ogni altra cosa, proprio all''incredulità'? Tra coloro che, a
esempio, vivono oggi, in Germania, lontani dalla religione, trovo
uomini il cui 'libero pensiero' ha varie specie ed origini, ma
soprattutto un gran numero di persone nelle quali l'operosità ha
spento, di generazione in generazione, gli istinti religiosi:
cosicch‚ esse non sanno più quale sia l'utilità delle religioni e
prendono, per così dire, atto della loro presenza nel mondo con
una specie di ottuso stupore. Questa brava gente si sente già
largamente assorbita sia dai propri affari che dai propri piaceri,
per non parlare della 'patria' e dei giornali e dei 'doveri della
famiglia': pare che non resti loro tempo alcuno per la religione e
che sia specialmente poco chiaro per essi se si tratta, in questo
caso, di un nuovo affare o di un nuovo piacere - giacché‚ è
impossibile - si dicono - che si vada in chiesa soltanto per farsi
venire il malumore. Costoro non sono nemici degli usi religiosi;
se in certi casi, per esempio da parte dello Stato, si esige che
prendano parte a tali usi, essi fanno quel che viene preteso, come
si fanno tante altre cose -, con una paziente e modesta gravità e
senza molta curiosità e disagio - essi vivono, appunto, troppo in
disparte e al di fuori per trovare necessario in se stessi anche
soltanto un pro e un contro in questioni del genere. A questi
indifferenti appartiene oggi la gran massa dei protestanti
tedeschi dei ceti medi, particolarmente nei grandi centri attivi
del commercio e del traffico; così pure quella dei dotti operosi e
tutti quanti gli annessi e connessi delle università (a eccezione
dei teologi, la cui esistenza e possibilità, in questi luoghi,
costituisce per lo psicologo un enigma sempre più grande e sempre
più sottile da sciogliere). Di rado uomini religiosi o anche
soltanto di chiesa possono farsi un'idea di "quanta" buona
volontà, si potrebbe dire volontà spontanea, si richieda oggi
Perchè un dotto tedesco prenda sul serio il problema della
religione; tutta la sua professione (e, come si è detto,
l'attività professionale alla quale lo obbliga la sua coscienza di
uomo moderno) lo predispone a una superiore giovialità, quasi
benevola, nei riguardi della religione, alla quale talvolta si
mescola un leggero disprezzo per quella 'sordidezza' dello
spirito, che egli presuppone esista ovunque ci si continui a
dichiarare per la Chiesa. Soltanto con l'aiuto della storia
(dunque non già partendo dalla propria esperienza personale), il
dotto riesce ad assumere di fronte alla religione una riverente
gravità e un certo timido rispetto; ma anche se il suo sentimento
si fosse elevato persino alla riconoscenza verso di essa, non si
avvicinerebbe con la sua persona neppure di un solo passo a quel
che ancora sussiste come Chiesa o religiosa devozione: forse tutto
il contrario. L'indifferenza pratica per le cose religiose, in
seno alla quale egli è nato ed è stato educato, suole sublimarsi,
in lui, nella circospezione e nella pulitezza, che schiva il
contatto con uomini e cose religiosi; e può darsi che sia proprio
la profondità della sua tolleranza e umanità a farlo arretrare
dinanzi a quel sottile stato di angustia interiore che il
tollerare, di per se stesso, comporta. - Ogni epoca ha la sua
propria divina specie di ingenuità, la scoperta della quale può
ben essere invidiata da altre epoche - e quanta ingenuità,
un'ingenuità rispettabile, infantile e sconfinatamente goffa, c'è
in questa convinzione di superiorità del dotto, nella tranquilla
coscienza della sua tolleranza, nella schietta sicurezza, priva
del minimo sospetto, con cui il suo istinto tratta l'uomo
religioso come un tipo umano inferiore e di bassa lega, oltre al
quale, via dal quale e più "in alto" del quale egli si è
sviluppato lui, questo piccolo nano e plebeo presuntuoso, questo
lavoratore, lesto e zelante, del braccio e della mente nel campo
delle 'idee', le 'idee moderne'!

59. Chi ha guardato il mondo in profondità indovina quale saggezza
ci sia nel fatto che gli uomini sono superficiali. E' l'istinto di
conservazione che insegna loro a essere volubili, leggeri e falsi.
Si ritrova qua e là una adorazione appassionata ed eccessiva delle
'forme pure', nei filosofi come negli artisti: senza dubbio chi
ritiene "necessario" in tal modo il culto della superficie, può
aver toccato una qualche volta un tasto infelice "sotto" di essa.
E forse persino a riguardo di questi fanciulli bruciati, di questi
artisti nati, che trovano ancora il gusto della vita soltanto nel
proposito di "falsificarne" l'immagine (per così dire in
un'ostinata vendetta contro la vita), esiste ancora un ordine
gerarchico: si potrebbe desumere il grado di disgusto al quale, in
loro, è giunta la vita, dalla misura in cui essi desiderano vedere
falsificata, assottigliata, trascendentizzata, divinizzata la sua
immagine, - si potrebbe annoverare gli "homines religiosi" tra gli
artisti, come il loro ordine più "elevato". E' il timore
profondamente sospettoso di un pessimismo immedicabile che
costringe interi secoli ad attaccarsi coi denti a una
interpretazione religiosa dell'esistenza; la paura di
quell'istinto, il quale presagisce che si potrebbe essere "troppo
presto" in possesso della verità, prima che l'uomo sia divenuto
abbastanza forte, abbastanza duro, abbastanza artista... La
religiosità, la 'vita di Dio', considerate da questo punto di
vista, apparirebbero il più raffinato e ultimo prodotto del
"timore" della verità, l'adorazione e l'ebbrezza dell'artista di
fronte alla più conseguente di tutte le falsificazioni, la volontà
di capovolgere il vero, la volontà di non verità a qualsiasi
prezzo. Può darsi che non ci sia stato fino a oggi nessun mezzo
più efficace per abbellire l'uomo in se stesso, se non appunto
questa religiosità: per mezzo di essa l'uomo può divenire a tal
punto arte, superficie, giuoco di colori, dolcezza di modi, che la
sua vista non è più insopportabile. -

60. Amare l'uomo "per amore di Dio" - fu questo, fino a oggi, il
sentimento più nobile e più remoto che sia stato raggiunto tra gli
uomini. Che l'amore per l'uomo senza una qualche segreta finalità
che lo santifichi sia una sciocchezza e una bestialità "in più",
che l'inclinazione a questo amore umano debba ricevere soltanto da
una inclinazione superiore la sua misura, la sua finezza, il suo
granello di sale e il suo pulviscolo d'ambra - chiunque sia stato
l'uomo che per la prima volta ha sentito e 'ha vissuto' tutto
questo, per quanto la sua lingua possa aver balbettato, allorch‚
tentò di esprimere una tale delicatezza di sentimento, egli sarà
per noi eternamente sacro e degno di venerazione, in quanto è
l'uomo che ha volato più in alto fino a oggi e si è smarrito nel
modo più bello!

61. Il filosofo come lo intendiamo "noi", noi spiriti liberi -,
come l'uomo che ha la responsabilità più vasta e per cui il
completo sviluppo dell'umanità è un fatto di coscienza: questo
filosofo si servirà delle religioni per la sua opera di
plasmazione culturale ed educativa, allo stesso modo con cui
utilizzerà le condizioni politiche ed economiche del momento.
L'influenza, operante nella scelta e nella formazione culturale,
tanto distruttiva, cioè, quanto creatrice e plasmatrice, la quale
può essere esercitata grazie alle religioni, è un'influenza
molteplice e diversa secondo la varietà degli uomini che vengono
posti sotto il loro potere e la loro custodia. Per i forti, gli
indipendenti, coloro che sono preparati e predestinati al comando,
nei quali si incarna la ragione e l'arte di una razza dominatrice,
la religione è un mezzo di più per vincere le resistenze, per
poter regnare: essendo essa un vincolo che unisce dominatori e
sudditi e rivela ai primi, consegnandola nelle loro mani, la
coscienza degli ultimi, la loro parte segreta e più intima che
volentieri si sottrarrebbe all'obbedienza; e nel caso in cui
determinati individui di tale nobile origine inclinassero, per la
loro alta spiritualità, a una vita più ritirata e più
contemplativa e si riservassero soltanto la specie più raffinata
del comando (quello esercitato su discepoli o confratelli
prescelti), la religione stessa potrebbe essere utilizzata come un
mezzo per crearsi una quiete rispetto al rumore e alle difficoltà
del governare "nel senso più grossolano del termine", nonch‚ una
purezza di fronte alle "necessarie" sozzure di ogni politica
attiva. Questo, per esempio, compresero i bramini: grazie a una
organizzazione religiosa costoro si attribuirono il potere di dare
al popolo i suoi re, mentre si tenevano e si sentivano in disparte
e al di fuori, essendo essi gli uomini che avevano compiti più
alti e superiori a quelli di un re. Frattanto la religione porge
anche a una parte dei governati una guida e un'occasione per
prepararsi a governare e a comandare un giorno, cioè, a quelle
classi e a quei ceti in lenta ascesa nei quali, grazie a felici
usanze matrimoniali, la forza e il piacere della volontà, la
volontà di autodominio, va continuamente potenziandosi - e a
costoro la religione offre sufficienti impulsi e allettamenti per
incamminarsi sulle strade di una superiore spiritualità, per
sperimentare i sentimenti del grande autosuperamento, del silenzio
e della solitudine - ascetismo e castità sono infatti mezzi quasi
indispensabili per educarsi e nobilitarsi, quando una razza vuol
trionfare sulla sua origine plebea e si sforza per elevarsi al
dominio che eserciterà un giorno. Agli uomini comuni, infine, ai
più, i quali esistono per far da servi e per l'utile collettivo e
soltanto per questo "hanno diritto" di esistere, la religione dà
l'inestimabile dono di contentarsi del loro stato e del loro modo
di essere, molteplice pace dell'anima, un nobilitarsi
dell'obbedienza, una gioia e un dolore maggiormente condivisi con
i loro simili e una specie di trasfigurazione e di adornamento,
qualcosa come la giustificazione dell'intera loro vita quotidiana,
dell'intera loro abiezione, di tutta quanta la miseria quasi
bestiale della loro anima. La religione e il significato religioso
della vita depongono su tali uomini martoriati un bagliore di sole
e rendono loro sopportabile persino la loro stessa vista; come la
filosofia epicurea soleva esercitare un'influenza sui sofferenti
di rango superiore, così la religione ha un influsso benefico, che
ingentilisce, che "sfrutta" per così dire la sofferenza,
giungendo, infine, a santificarla e a giustificarla. Forse non c'è
nulla di più venerando, nel cristianesimo e nel buddhismo, della
loro arte di ammaestrare le creature più umili a collocarsi,
attraverso la devozione, in un apparente ordine superiore di cose,
e di tener stretto, in tal modo, a s‚ quel loro contentarsi
dell'ordine reale, all'interno del quale esse vivono abbastanza
duramente e proprio questa durezza è necessaria! -

62. Indubbiamente, per mostrare anche il bilancio negativo di tali
religioni e mettere in luce la loro sinistra pericolosità,
occorrerà infine dire che si paga sempre a caro prezzo e in
maniera terribile il fatto che le religioni "non" siano nelle mani
dei filosofi come strumenti di plasmazione culturale e di
educazione, bensì governino a loro talento e in guisa "sovrana", e
vogliano essere per se stesse gli scopi ultimi e non mezzi accanto
ad altri mezzi. V'è tra gli uomini, come in ogni altra specie
animale, un residuo di tarati, di malati, di degenerati, di esseri
difettosi, di necessari sofferenti; anche tra gli uomini i casi
ben riusciti sono sempre l'eccezione, e persino se si tiene
presente il fatto che l'uomo è "l'animale non ancora stabilmente
determinato", costituiscono una rara eccezione. Ma v'è di peggio
ancora: quanto più elevato è il tipo che un certo uomo
rappresenta, tanto più va aumentando l'improbabilità che costui
"riesca bene": il casuale, la legge dell'assurdo nell'intera
economia dell'umanità si rivelano, in maniera quanto mai tremenda,
nei loro più distruttivi influssi sugli uomini superiori, le cui
condizioni di vita sono delicate, multiformi e difficilmente
calcolabili. Orbene, come si comportano le due cosiddette massime
religioni di fronte a questa "eccedenza" di casi mal riusciti?
Esse cercano di conservare, di mantenere in vita quel che in
qualche modo può essere conservato, anzi, per principio, fanno
propria la causa di questa gente, in quanto religioni "per
sofferenti", dànno ragione a tutti coloro che soffrono della vita
come di una malattia, e vorrebbero fare in modo che ogni altro
sentimento della vita sia considerato falso e diventi impossibile.
Sebbene si possa avere ancora una alta stima per questa delicata e
sostentatrice sollecitudine, in quanto essa è ed è stata
praticata, oltre che per tutti gli altri, anche per il più elevato
tipo umano, fino a oggi quasi sempre anche il più sofferente:
tuttavia in un calcolo globale le religioni esistite fino a oggi,
vale a dire quelle "sovrane", appartengono alle cause principali
che mantennero il tipo 'uomo' su un gradino più basso, e troppo
esse conservarono di "quel che doveva perire". Di qualcosa
d'inestimabile si deve essere grati a esse; e chi è abbastanza
ricco di riconoscenza, da non divenire povero dinanzi a tutto ciò
che, per esempio, hanno fatto fino a oggi per l'Europa gli 'uomini
spirituali' del cristianesimo? Eppure, se davano conforto ai
sofferenti, coraggio agli oppressi e ai disperati, un bastone e un
appoggio ai bisognosi d'aiuto, se attiravano nei conventi e nei
penitenziari dell'anima coloro che erano internamente distrutti e
resi selvaggi dalla società: che cosa dovettero fare, oltre a ciò,
per cospirare con tranquilla coscienza in modo talmente
fondamentale alla conservazione di tutto quanto è malato e
sofferente, cioè in realtà e in verità al "deterioramento della
razza europea"? "Rovesciare" tutti gli apprezzamenti di valore -
"questo" dovettero fare! E infrangere i forti, infettare le grandi
speranze, rendere sospetta la felicità nella bellezza, spezzare
ogni forma di autodominio, di virilità, di spirito di conquista,
di bramosia di potere, ogni istinto proprio del tipo 'uomo' più
elevato e meglio riuscito, per trasformare tutto ciò in
insicurezza, in angustia di coscienza, in autodistruzione,
capovolgere anzi l'intero amore per quanto è terrestre e per il
dominio sovra la terra in odio contro la terra e il terrestre - è
stato tutto "questo", invece, che la Chiesa si pose e dovette
porsi come compito, sintantoch‚, nel suo apprezzamento,
'smondanizzazione', 'desensualizzarsi' e 'uomo superiore' non
finirono per fondersi insieme "in un unico" sentimento. Posto che
si potesse percorrere con lo sguardo sarcastico e indifferente di
un dio di Epicuro la commedia prodigiosamente dolorosa e tanto
grossolana quanto sottile del cristianesimo europeo, io credo che
non si finirebbe di stupirci e di ridere: non sembra infatti che
per diciotto secoli abbia dominato in Europa la "sola" volontà di
trasformare l'uomo in un "sublime aborto"? Ma chi con esigenze
opposte, non più da epicureo, bensì con un qualche divino martello
nel pugno si accostasse a questa quasi volontaria degenerazione e
a questo intristimento dell'uomo, così come appaiono nell'europeo
cristiano (in Pascal, per esempio), non dovrebbe gridare con
rabbia, compassione e raccapriccio: 'O voi balordi, presuntuosi
compassionevoli balordi, che cosa mai avete fatto! Questo non era
un lavoro per le vostre mani! Avete guastato e deturpato la mia
pietra più bella! Che cosa non vi siete permessi voi!'. - In altre
parole, il cristianesimo è stato fino a oggi la specie più funesta
di presunzione di s‚. Uomini non abbastanza in alto n‚ abbastanza
duri per poter dare, come artisti, una forma "all'uomo"; uomini
non abbastanza forti n‚ lungimiranti per "imporre", con una
sublime vittoria sopra se stessi, la legge posta innanzi a tutte
le altre, che prescrive i mille e mille modi di fallimento e di
annientamento; uomini non abbastanza nobili per scorgere quale
gerarchia abissalmente diversa e quale scissura di rango sussista
tra uomo e uomo "tali" uomini, con la loro 'uguaglianza dinanzi a
Dio', hanno avuto nelle mani fino a oggi il destino d'Europa,
fintantoch‚ si è venuta formando una specie rimpicciolita, quasi
ridicola, un animale da gregge, qualcosa di condiscendente, di
malaticcio e di mediocre, l'europeo di oggi...